l'uomo che immaginò il futuro

Glieli vogliamo fare gli auguri a quest'uomo?
Come chi è? E' Mister Herbert Marshall McLuhan. Lo studioso di letteratura che ha guardato nel suo futuro e ha inventato quei concetti con cui ancora oggi continuiamo a cercare di spiegarci il nostro presente.
Oggi avrebbe compiuto cento anni.
 Ancora oggi la sua capacità profetica ci stupisce se rileggiamo alcuni passaggi dei suoi scritti, collocandoli nel loro tempo. Scriveva cose come questa, nel 1964:

«Oggi, dopo oltre un secolo d’impiego tecnologico dell’elettricità, abbiamo esteso il nostro stesso sistema nervoso centrale in un abbraccio globale che, almeno per quanto concerne il nostro pianeta, abolisce tanto il tempo quanto lo spazio. Ci stiamo rapidamente avvicinando alla fase finale dell’estensione dell’uomo: quella, cioè, in cui, attraverso la simulazione tecnologica, il processo creativo di conoscenza verrà collettivamente esteso all’intera società umana, proprio come, tramite i vari media abbiamo esteso i nostri sensi e i nostri nervi»

E' un brano tratto da "Gli strumenti del comunicare": non sembra forse parlare di oggi?

Solo che questa sua capacità, allo stesso tempo di analisi e di proiezione nel futuro, ha finito per essere condensata in slogan perfetti, apparentemente autoesplicanti, pur nella loro sintesi. Così essi sono rapidamente entrati a far parte di un lessico comune e sono stati talmente tante volte ripetuti, fuori dal loro contesto e con un senso travisato rispetto a quello originale, da diventare un luogo comune.
Villaggio globale.
Il medium è il messaggio.
Cose così.

E a tutti quelli che dicono "villaggio globale" viene in mente "omologazione", quando invece Mister McLuhan scriveva, ad esempio,

«La radio provoca un’accelerazione dell’informazione che causa anche un’accelerazione di altri media. Restringe il mondo alle dimensioni di un villaggio e crea un insaziabile gusto paesano per i pettegolezzi, le voci e gli attacchi personali. Ma non omogeneizza i diversi quartieri del villaggio»

E' sempre "Gli strumenti del comunicare", 1964.

Ecco, allora, visto che oggi tutti ne parleranno cercando di spiegarci il suo pensiero, io preferisco ricordarlo semplicemente così, con una scena indimenticabile di un film indimenticabile:



Tanti auguri, Herbert Marshall McLuhan.

Letture: Saltare il muro

Mahmoud è palestinese, ha ventidue anni, lavora nella drogheria della famiglia e ama disegnare.

Maximilen ha ventisei anni, è francese, e disegna in modo professionale.
Dal loro incontro è nato questo libro, un reportage disegnato sulla vita di Mahmoud dentro il muro e della sua voglia di saltarlo. Lo ha pubblicato 001 editore di Torino (e se volete sapere di più della casa editrice, andate qui).



E' un argomento difficile, quello scelto da Maximilien Le Roy, l'autore del libro (fate clik qui per sapere qualcosa di più su di lui). E' difficile parlare della vita dei palestinesi nei campi profughi, all'interno del muro. E' difficile non farsi prendere la mano dalla retorica. Difficile rimanere equilibrati. Difficile dare voce ad un conflitto dove occupanti ed occupati sembrano essere entrambi ugualmente  prigionieri.


Però non è un tema nuovo: anzi, è proprio su questo tema che, perlomeno in Italia, ci siamo accorti che esisteva qualcosa che potevamo chiamare graphic journalism (per saperne di più andate qui e soprattutto qui). Ce lo ha fatto capire Joe Sacco con il suo Palestine (ne vedete una tavola qui a fianco).


Solo che Maximilien ha scelto un'altra strada: non ha messo in scena se stesso (come ha fatto Sacco e come fanno molti altri), ma ha messo in scena Mahmoud, che aveva conosciuto durante un corso di disegno tenuto in Palestina.
Così la storia è un racconto in prima persona, un flusso di coscienza per parole e immagini che descrivono una vita prigioniera, dei muri e dei reticolati politici, ma anche sociali e religiosi.
E le parole di Mahmoud ci accompagnano nel difficile equilibrio quotidiano tra una vita prigioniera e il richiamo del terrorismo. 
Leggere questo libro diventa così un esercizio di ascolto per capire le ragioni delle persone, laddove quelle della politica sembrano ormai essersi perse.

Tre colori

I tre colori sono naturalmente quelli della bandiera italiana e le puntate sono 150, una al giorno per ogni anno di unità.
Di che cosa sto parlando? di una trasmissione su Radio Tre (potete vederla qui) in onda tutti i giorni (tranne sabato e domenica) dalle 14 alle 14.30. E' curata da Federica Barozzi (che normalmente si occupa di memoradio, un'altra bella iniziativa da scoprire), con Lorenzo Pavolini, Maria Angela Spitella e Daria Corrias.

E' una delle molte forme che la celebrazione del centocinquantenario ha preso quest'anno, e una delle migliori, fra quelle che ho visto/ascoltato io.
Perché? perché è una trasmissione plurale. Fatta di date, personaggi, eventi, luoghi: ogni giorno c'è qualcuno che ci racconta qualcosa che ha unito, o diviso, oppure unito e diviso contemporaneamente, il paese.
E dunque è anche un affresco fatto di punti di vista, di interpretazioni, di narrazioni. Come a dire che se l'Italia è una, le sue storie sono molte. E che è proprio in questa pluralità, in questa eterogeneità, che si ritrova la sua unità.

Come?
...dite che il fatto che proprio oggi sia andata in onda una puntata realizzata dal sottoscritto potrebbe rendere il mio giudizio lievemente partigiano?

Potrebbe, in effetti.
Però provate a seguirla un po', e mi saprete dire. E poi il giudizio lo darete voi.


Ah, qui trovate il podcast alla puntata di oggi, se volete riascoltarla o se ve la siete persa.

libertà è partecipazione...

Questo era scritto su un lenzuolo bianco appeso al guard-rail di una rotonda che separa due frazioni di paese, piccoli agglomerati di case aggrappate alle scarpate della strada comunale che le attraversa.
La foto non può rendere la commovente solitudine di quel lenzuolo.
Però può forse dare un'idea della tenace volontà di cambiare le cose gridata da quella grafia un po' incerta, tracciata da una mano non abituata a maneggiare una bomboletta spray.

Quando l'ho vista, mi è sembrato che fosse un segno di come le cose stavano cambiando.
Poi è arrivato il raggiungimento del quorum. E quel segnale mi è sembrato confermato.
La cosa che colpisce di più è che tutto sia avvenuto attraverso canali di comunicazione alternativi a quelli dominanti.
Attraverso lenzuola appese nei crocevia.
Volantini dati per strada.
Post nei blog.
Commenti su facebbok.
Video su Youtube.
Pubblicità virali.
Passaparola.

Lo ha detto bene, oggi, Michele Serra, su Repubblica:


È una vittoria autoprodotta dai comitati, dalle associazioni, dai blog, dagli individui-cittadini che attraverso mille strade, mille ragioni (e perfino attraverso alcuni partiti, vivificati dall’impatto con l’ondata civile) hanno voluto riprendere in mano il bandolo della cosa pubblica. È una vittoria della società contro il Palazzo (parola che uso malvolentieri, ma in questo caso è perfetta), della politica contro il potere, dell’informazione diffusa che è riuscita a by-passare i media, e a turlupinare chi cercava di turlupinarla.

In sequenza secca, l’abbinata amministrative-referendum ribalta la scena della politica italiana, dando al concetto (nobile ma astratto) di “opinione pubblica” un peso formidabile, il volto concreto di milioni di persone. Il boicottaggio arrogante e ottuso della classe di governo (quasi compattamente astensionista), alla luce dei risultati, la fa apparire spiazzata, isolata, fuori tempo: una consorteria in vertiginoso declino.

Perfino il problema Berlusconi, che fino a un minuto fa ci appariva una montagna, è solo un aspetto, e forse neanche quello decisivo, di un passaggio d’epoca impetuoso: che rimette l’accento sulla cittadinanza, sulla comunità, insomma sulla politica di tutti e per tutti. La campana suona anche per la sinistra: niente potrà più essere pensato e deciso nelle vecchie stanze chiuse dei notabili di partito.


Una voglia di partecipare, di ricominciare a dire la propria, che è come un venticello fresco che spazza via le nuvole. 
Anche altri momenti importanti nella nostra storia nazionale sono stati annunciati da un referendum: magari è solo una coincidenza. 
Magari no.

cose da venire

Il senso di quest'immagine vi sarà più chiaro nei prossimi mesi.

O forse sarà questa?
 Oppure quest'altra?


A voi quale piace di più?

verso il mare aperto

Come sapete mi piace raccontare quello che i miei studenti sono capaci di fare.

(Scrivo "i miei studenti", ma è solo una sintesi per dire "le persone che ho la fortuna di incontrare facendo il mio lavoro, a cui spero di dare qualcosa e che, spesso, mi danno molto in cambio": ma è troppo, troppo lungo per inserirlo in una qualsiasi frase di senso compiuto. Quindi, fate voi la sostituzione mentale)

Lo ho fatto qualche volta, per esempio qui, dove ho parlato di una sessione di tesi particolarmente felice.
E adesso ho la fortuna di poterlo rifare.
Alessandra Di Marcello, una studentessa che aveva discusso una tesi nell'ultima sessione di laurea, ha da poco vinto il primo premio bandito dal Rotary Club di Teramo per tesi di laurea capaci di raccontare la comunità teramana e il suo patrimonio storico, sociale, politico, artistico, scientifico, economico, giuridico ed etico. (qui il comunicato stampa della manifestazione)
Alessandra ha ricostruito la storia della nascita della televisione teramana e il suo passaggio dal cavo all'etere: è stato un lavoro complesso, come è sempre complesso raccontare quel periodo della nostra storia, così vicino eppure, paradossalmente, così lontano perché le informazioni che si trovano non sono mai abbastanza. Eppure Alessandra ha unito lo spoglio delle riviste di settore (scoprendo una quantità impensabile di riferimenti alla vicenda teramana) alla ricerca di protagonisti e testimoni: e di informazioni è riuscita a trovarne parecchie, molte di più - direi - di quelle che erano state raccolte finora, nei pochi contributi disponibili. Ed è riuscita a farsi un'idea molto precisa dei rapporti fra televisione e comunità locale, non solo attraverso queste fonti, ma anche studiando alcuni programmi delle televisioni teramane dei primi anni Ottanta raccolti presso la biblioteca provinciale Delfico di Teramo.

Insomma, è bello poter dire a tutti voi che anche lei è salpata verso il mare aperto, lasciando il porto - certo un po' malmesso ma sicuro - dell'università. Viaggia su una barchetta che è come un guscio di noce, e, a guardarla, sembra che la sua vela non possa tenere il vento. Però è già lontana, laggiù sull'orizzonte.
la premiazione: Alessandra è la seconda da sinistra.
E vederla navigare è un piacere da condividere.

...di nuovo in linea

Finalmente ci sono.
Di nuovo in linea.

Da qualche giorno il mio sito aveva deciso di fare di testa sua e, se vi veniva la voglia di visitarlo, vi trovavate da un'altra parte.
Evidentemente qualcuno aveva deciso di farmi uno scherzetto.
Sarà stato un gremlin, è stato il pensiero più coerente che sono riuscito a formulare.
Sì, proprio uno di quei folletti che si divertono a sabotare gli elettrodomestici.
E non è che, dopo aver scoperto che cosa era realmente successo, io abbia veramente cambiato idea.

Comunque, ora tutto è risolto. E sono di nuovo qui a dirvi di ascoltare la radio.
L'appuntamento è per sabato 21, alle 19, su Radio Tre, nella trasmissione Il cantiere di radio tre.
Nella prima parte della trasmissione andrà in onda una produzione di Radio Frequenza, la radio dell'Ateneo di Teramo, che ho realizzato insieme a Franco Di Battista e con la collaborazione tecnica di Matteo La Penna. Si chiama "La voce del '69" ed è la prima di cinque puntate. Le altre andranno in onda su Radio Frequenza: quando? vi farò sapere.
Per ora, seguite il link per scoprire che cos'è "Il cantiere".

E se poi sabato 21 avete proprio di meglio da fare che ascoltarci alla radio, dopo qualche giorno troverete il podcast sempre allo stesso indirizzo.
 
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