notizie e realtà

Un breve riassunto della situazione: oggi alla Fiat di Pomigliano d'Arco si svolge un referendum sugli operai per decidere il contestato accordo tra la direzione e la maggioranza delle sigle sindacali, esclusa la Fiom che lo denuncia come un arretramento dei diritti dei lavoratori. Solo se ci sarà un'ampia maggioranza favorevole, la Fiat farà un sostanzioso investimento sulla fabbrica. L'argomento è importante, per qualcuno fondamentale per il futuro delle relazioni industriali nel paese.

Ore 8 e qualcosa, radiogiornale di Rai1.
- Oggi referendum alla Fiat di Pomigliano d'Arco. Si decide se la Fiat investirà nella fabbrica 700 milioni di euro, dice lo speaker.
Poi lancia un collegamento con l'inviato, che intervista le operaie e gli operai del turno delle 6, all'ingressso in fabbrica:
- e lei, che cosa voterà?
- (sospirando, con un filo di voce) sì, voterò sì...
- perché voterà sì?, insiste l'inviato
- perché ho bisogno dei soldi
- ma la Fiom dice che questo accordo mette in pericolo i vostri diritti...
- ma io devo lavorare

Peccato che questo dialogo andrà perso nell'etere e non se ne troverà traccia nei saggi che in futuro descriveranno la situazione del lavoro in Italia in questi anni: mi senbra che dica molto delle attuali politiche industruiali.
E molto, forse molto di più, sul modo di fare informazione.

Il ritorno di Cipputi

Che sia tornato sulla prima pagina odierna di Repubblica è un caso, o forse non troppo.

Naturalmente la battuta - icastica come sempre - si riferisce a Pomigliano D'Arco:
- Non abbiamo alternativa, Cippa.
- Come si dice in polacco?

Però il titolo di questo post si riferisce ad un breve ciclo di film sul lavoro che abbiamo presentato alla Casa della Memoria e della Storia di Roma e che finisce oggi.
 Dico "abbiamo" parlando a nome dell'Irsifar, di cui sono socio (oltre che membro del direttivo), e che mi ha chiesto di introdurre il ciclo, due giorni fa. Dalle discussioni comuni, fra l'altro, era uscito il programma del breve ciclo.
Nel presentare i film - ho detto - mi sono venute in mente le cronache di questi giorni a Pomigliano d'Arco perché hanno caricato il percorso delineato dal ciclo di un'attualità che non era prevista. E poi ho continuato:
In tre giorni, affiancando film di finzione e documentari, cercheremo di ripercorrere la vicenda del lavoro operaio, provando a tenere insieme storie collettive e individuali. Cominciamo oggi, 15 giugno, con un film in costume, I compagni, girato da Mario Monicelli nel 1963 e ambientato nella Torino delle filande di fine Ottocento: è un film che rimanda ai complessi processi che muovono alla formazione delle classe operaia, così come complessa è la vicenda - individuale stavolta, ma tutta inserita nella storia collettiva, del documentario che seguirà, Pino Furlan torna a casa di Alberto Poli.
 

Nei prossimi giorni daremo un'occhiata ad altri momenti di storia del lavoro e dei lavoratori, ad altri momenti di profonda trasformazione (come erano quelli della nascita della classe operaia), gli anni in cui l'idea di una "centralità" degli operai e del lavoro operaio vengono messi in crisi dai cambiamenti del mondo della produzione, che si legano a trasformazioni più profonde e forse, fino ad allora, inavvertite o trascurate, trasformazioni che attengono anche alla sfera individuale ed esistenzale. Il film che ci condurrà in questo percorso è SignorinaEffe di Wilma Labate, che si riflette nel documentario che è alla sua base, Signorina Fiat di Giovanna Boursier.


Il 17, infine, guarderemo al mondo post-industriale, quello in cui i lavoratori dell'industria sembrano essere scomparsi, sul piano sociale e dell'immaginario collettivo se non su quello della produzione. Il film sarà Risorse Umane di Laurent Cantet.

Le cronache di questi giorni a Pomigliano D'Arco, a me sembrano legate, paradossalmente, più a I compagni che non agli altri due: il contratto su cui c'è stata una nuova spaccatura sindacale e che verrà votato dal referendum operaio è, certo, un accordo che fa cadere i veli della globalizzazione (ed in questo senso è molto vicino a noi, e ai film più recenti): dalla crisi economica del 2007 infatti - ha scritto Luciano Gallino -"politici, industriali, analisti non hanno più remore nel dire che il problema non è quello di far salire i salari e le condizioni di lavoro nei paesi emergenti: sono i nostri che debbono, s'intende per senso di responsabilità, discendere al loro livello" (La Repubblica, 14-6-2010).
Ecco allora che vengono rimessi in discussione diritti che si pensavano acquisiti, diritti la cui lenta - e dolorosa - conquista viene raccontata da Monicelli ne I Compagni. Il film fu presentato in anteprima al congresso socialista che sanciva l'adesione ufficiale del partito al centrosinistra dove, però, non fu molto apprezzato. Anche la critica lo maltrattò abbastanza: ad esempio Luigi Chiarini non lo volle alla mostra del cinema di Venezia perché - diceva - l'argomento era troppo serio per essere trattato in chiave comica. Proprio questo aspetto, la comicità, così denigrato dai critici, era usato, allo stesso tempo, per attirare spettatori nei cinema: il manifesto prometteva "si ride in piemontese".
Monicelli fu sferzante con i giudizi dei critici, commentandoli con un'alzata di spalle ("mi hanno rimproverato di parlare della lotta di classe del pasato per non parlare di quella di oggi... mah!"), e sottolineò invece che il film viveva del clima che si respirava a Torino nel '62, con il risveglio della Fiat. Un critico però, Gian Maria Gugllielmino che scriveva su La Gazzetta del Popolo, fece giustizia del film svelando l'inganno legato alla promessa di una risata facile: "perché ingannare la gente? - scriveva - (...) in quanto a 'ridere', in quanto alla possibilità di interpretare I compagni anche parzialmente ameno e divertente, non è il caso di parlarne".
E concludeva la sua recensione dicendo: "...quale bel film, in definitiva, che possiamo accettare, ammirare e amare, nella sua luce malinconica e nella sua umana verità, nella sua quasi rassegnata e pietosa, ma comunque sensibilissima contemplazione di un dolore antico, anche se a noi, personalmente, la sola rievocazione (...) di quella condizione bestiale cui erano condannate persone umane, quell'ignobile sfruttamento sul quale pure si fondano e si continuano privilegi e dinastie tuttore sopravviventi avrebbero acceso più indignazione".
Forse però non era il momento per quel film più indignato, ma forse anche più facile e schematico, che invocava il critico: solo allora, infatti, la classe operaia si stava risvegliando, in un generale silenzio. Quando poi il film sarebbe stato trasmesso in televisione, negli anni Settanta, sarebbe stato molto più apprezzato di quanto non fosse stato nelle sale: ma allora si viveva ancora l'onda lunga delle lotte operaie del 1969-73.
Chissà che effetto farà rivederlo oggi
concludevo.
Vi confesso che rivederlo mi ha fatto un bell'effetto.

una data da ricordare

Poi magari troverò la lucidità e il distacco necessario per parlarne.
Per ora riesco solo a demandare a voi il giudizio e, se le trovate, le parole per esprimerlo.

Ieri il senato ha approvato un disegno di legge che limita fortemente la possibilità per i giudici di avvalersi delle intercettazioni durante le indagini. E che impedisce alla pubblica opinione di essere informata sulle indagini in corso (e quindi impedisce alla pubblica opinione di formarsi).

Queste sono le prime pagine di due giornali di oggi.

Tre film

Tre film, tre sguardi sull'Italia che raccontano un paese molto lontano dal riflesso distorto che appare spesso sugli schermi televisivi nei quali la maggioranza degli italiani continua a specchiarsi.
Sto parlando di tre film molto diversi fra loro: due sono documentari, di stile quasi opposto, e uno è un film di finzione. Tutti, però, sono accomunati dall'aver ricevuto premi nazionali e internazionali e dalla volontà di raccontare l'Italia del nostro tempo, un paese al quale sembra spesso difficile guardare e che appare sicuramente misterioso e poco comprensibile a chi lo guarda dal di fuori: forse non è un caso che due di questi, Draquila e La nostra vita, siano stati molto applauditi in Francia, a Cannes.
E forse non è nemmeno un caso che il rappresentante istituzionale della cultura italiana non fosse lì, quasi a rimarcare una distanza amplissima fra il paese e la sua rappresentanza formale (due esempi? vedi qui e qui).
E non è nemmeno un caso che due di questi film richiamino sin dal titolo l'idea della comunità, dell'appartenza comune: uno racconta La nostra vita, l'altro inneggia ai Fratelli d'Italia. In realtà anche il titolo del terzo, Draquila, è frutto di una comunità, quella del web che lo ha suggerito alla regista, Sabina Guzzanti.

Fratelli d'Italia è, credo, il meno conosciuto dei tre.

E probabilmente è il più sorprendente, il più spiazzante sin dal titolo. Che si riferisce agli immigrati di seconda generazione, quei ragazzi e quelle ragazze figli di genitori stranieri ma nati e cresciuti in Italia, che frequentano scuole italiane e vivono da italiani, spesso anche in conflitto con un'identità culturale e familiare che sentono come residuale.
Claudio Giovannesi, il regista, ha seguito per molti mesi tre storie qualunque alla periferia di Roma, partendo da una scuola con un'altissima percentuale di figli di immigrati, la Toscanelli di Ostia. Mostrando una grande sensibilità è riuscito a mescolarsi, a confondersi e a sparire in quella realtà così fluida, portandoci letteralmente nelle vite qualunque di quei ragazzi e facendoci scontrare con la questione dell'integrazione dal loro punto di vista.
È un'Italia che non si conosce e a cui non si pensa mai, ma sarà l'Italia di domani: e la chiusura del paese si misura anche sull'incapacità di confrontarsi realmente con questo tema, lasciando soli a confrontarcisi alcuni insegnanti (e alcuni sono veramente eroici), le famiglie e gli stessi ragazzi, neo-italiani schiacciati in una terra di nessuno fra la cultura di provenienza e quella di approdo.

Se Claudio Giovannesi scompare dalla scena e non dà giudizi, Sabina Guzzanti costruisce invece un documentario a tesi: però anche lei ha la sensibilità di levarsi quasi subito da davanti e di lasciarci vedere il film (per parafrasare Monicelli). In questo senso, non è vero che il suo è un film alla Michael Moore: lo è invece se lo si considera un film-pamplhet, tutto costruito intorno all'idea che il terremoto de L'Aquila abbia costituito una specie di prova generale per uno strisciante colpo di stato fondato sulla gestione autoritaria dell'emergenza.


Anche chi non è d'accordo con la tesi del film, non potrà negare che ci sono alcuni momenti di grandissima emozione: l'inizio, con una passeggiata notturna nella città vuota, e l'intervista a Raffaele Colapietra, l'anziano storico che continua a vivere nella sua casa del centro (e per farlo ha dovuto "combattere" contro la Protezione Civile) che assurge alla dimensione gigantesca e tragica di anima e coscienza della città. Quasi un fantasma a sorvegliare una città fantasma.
Ma, soprattutto, è un film che permette di scoprire che le cose sono diverse da come sono state raccontate, e da come la maggior parte degli italiani, probabilmente, pensa che siano.

E La nostra vita? Forse dovrò tornarci con un altro post e una riflessione un po' più ampia. Anche perché, nonostante il suo tentativo di essere realista, a partire dalla scelta dei luoghi e dall'uso delle inquadrature strette e mosse, molto documentaristiche, il film non è un documentario: e si sente. E si vede.

Che cosa lo accomuna agli altri film di cui sto parlando? Almeno due cose.
La prima è una sensazione di vuoto, che si manifesta sin dai luoghi in cui il film è girato: sono le periferie che stanno sorgendo ad est della città, uno sprawl suburbano arroccato intorno alle cittadelle fortificate del consumo, i mega-centri commerciali in cui cercano rifugio e momentaneo sollievo gli abitanti di quelle terre di nessuno, nella finzione come nella realtà.
Il vuoto è anche quello in cui precipita il protagonista del film, dopo l'improvvisa morte della moglie. È un vuoto di valori, di cultura, di prospettive: non è cattiveria (anzi, lui non ce la fa proprio ad essere cattivo), è solo assenza. Assenza che cerca di riempire con quanto di più concreto conosca, i soldi e tutto quello che possono comprare.
Questa è una cosa che ritorna spesso nel film, ed è la seconda delle cose che lo accomuna agli altri.
I soldi della "cricca" che ha cercato di spartirsi (si è spartita?) la ricostruzione de L'Aquila.
I soldi che sembrano essere l'unica cosa da conquistarsi nella vita per qualche fratellino d'Italia: c'è un passaggio secondario del film in cui uno dei protagonisti, romeno, va in una discoteca romena; la musica in sottofondo - opportunamente sottotitolata - è un inno dance ai soldi e a tutto quello che ti permettono di avere, macchine donne rispetto. Ed è interessante vedere come nel film di Lucchetti la prospettiva sia ribaltata: qui sono i romeni a rimproverare agli italiani di essere ossessionati dai soldi.
I soldi con cui Claudio, il protagonista interpretato da Elio Germano, cerca di comprare un futuro migliore per i propri figli, un futuro fatto di cose perché altro a cui aggrapparsi non c'è.

un anno dopo

Un altro anno (universitariamente parlando) è passato e domani - primo giorno di esami della sessione estiva - inizierò, forse, a capire com'è andato.
Come sono state le lezioni?
efficaci?
   interessanti?
      utili?
          hanno lasciato germogliare qualche seme di riflessione?
Sono tutte domande a cui è sempre difficile dare una risposta certa. Al massimo posso riporre qualche speranza, cercando di non induglere in troppo ottimismo.

Però qualcosa che so per certo, e di cui posso parlare, è che il progetto di laboratorio di quest'anno è stato interessante e stimolante. È stato un bel progetto e un bel progettare, indipendentemente dal risultato finale, che ancora non conosco.
Ci siamo occupati di radio, di canzoni e di storia.
Abbiamo - anzi, hanno: io ho solo coordinato - fatto un programma che aveva per tema la storia d'Italia raccontata attraverso le canzoni.

Il lavoro è stato bello perché mi ha portato a riflettere, ancora una volta, sulla adattabilità dei media, sull'importanza delle differenze di percezione, sulla possibilità di imparare qualcosa aprendosi a sensibilità diverse dalla propria.
Quando ho proposto ai "miei" studenti il progetto, avevo in mente qualcosa di molto, molto diverso da quello che ascolterò fra qualche giorno. E questo è un bene, perché quello era il mio progetto e questo è il loro, filtrato attraverso le loro conoscenze e le loro sensibilità.
E se spero che loro abbiano imparato qualcosa da me, sicuramente io ho imparato qualcosa da loro, ad esempio che la percezione di ciò che è "storico" è completamente differente a seconda delle generazioni. Sembra una banalità, eppure ogni volta che un gruppo di studenti mi costringe a ricordarmelo, mi rendo conto di quanto sia una banalità fondamentale, soprattutto per chi studia la storia e si occupa - anche - di media.

E poi c'è un'altra cosa su cui varrà la pena riflettere di più in futuro: per continuare a fare lavoro di gruppo oltre l'orario di lezione abbiamo scelto di usare facebook, creando un gruppo riservato in cui continuare le discussioni. Certo si poteva fare meglio; sicuramente si poteva fare di più: però l'esperimento è stato interessante e dovrò portarlo avanti.

Magari quando il programma sarà pronto troverò il modo di postare qui una o due puntate.

come un post-it

Ce la ricordiamo ancora?
Davvero?
Dài, diamogli una ripassatina tutti insieme.
Almeno oggi
Almeno ai principi fondamentali

Art. 1
L'Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro.
La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione.

Art. 2
La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale.

Art. 3
Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.
È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese.

Art. 4
La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto.
Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un'attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società.

Art. 5
La Repubblica, una e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali; attua nei servizi che dipendono dallo Stato il più ampio decentramento amministrativo; adegua i principi ed i metodi della sua legislazione alle esigenze dell'autonomia e del decentramento.

Art. 6
La Repubblica tutela con apposite norme le minoranze linguistiche.

 Art.7
Lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani.
I loro rapporti sono regolati dai Patti Lateranensi. Le modificazioni dei Patti accettate dalle due parti, non richiedono procedimento di revisione costituzionale.

Art. 8
Tutte le confessioni religiose sono egualmente libere davanti alla legge.
Le confessioni religiose diverse dalla cattolica hanno diritto di organizzarsi secondo i propri statuti, in quanto non contrastino con l'ordinamento giuridico italiano.
I loro rapporti con lo Stato sono regolati per legge sulla base di intese con le relative rappresentanze.

Art. 9
La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica.
Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione.

Art. 10
L'ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute.
La condizione giuridica dello straniero è regolata dalla legge in conformità delle norme e dei trattati internazionali.
Lo straniero, al quale sia impedito nel suo paese l'effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d'asilo nel territorio della Repubblica secondo le condizioni stabilite dalla legge.
Non è ammessa l'estradizione dello straniero per reati politici.

Art. 11
L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo.

Art. 12
La bandiera della Repubblica è il tricolore italiano: verde, bianco e rosso, a tre bande verticali di eguali dimensioni.
 E buon 2 giugno a tutti
 
Andrea Sangiovanni © Creative Commons 2010 | Plantilla Quo creada por Ciudad Blogger