Pubblicità di fine stagione

Sarà che l'estate sta finendo e che la mente ama smarrirsi ancora per un po' in pensieri oziosi.
Sarà che se hai la televisione o la radio accesa la vedi e la senti decine e decine di volte al giorno.
Sarà quello che sarà, ma ogni volta che passa questa nuova pubblicità non riesco a non contenere un moto di rabbia.



Ogni volta - ma, dico, ogni volta - che la vedo o la sento penso che siamo proprio messi male.

Lo so: siamo messi male, e non l'ho certo scoperto con questa pubblicità.

Però.

Però se considerate che fine della pubblicità commerciale è indurre il desiderio del consumo e che lo fa rappresentando aspirazioni e desideri sociali. E che nel rappresentarli, certe volte riesce ad intercettare il senso comune, il sentire profondo di una società.

Se pensate ad esempio che i manifesti dei magazzini Mele all'inizio del secolo scorso crearono un gusto borghese della moda e insegnarono al ceto emergente dell'Italia da poco unita a vestirsi.

Oppure che negli anni Ottanta la pubblicità dell'amaro Ramazzotti ha dato forma nell'immaginario collettivo al ritratto della città modello di un'Italia nuova. E che, allo stesso tempo, raccoglieva tutte le suggestioni che formavano il desiderio collettivo di un'epoca "rampante", inventando lo slogan che ancora oggi descrive gli anni Ottanta, nel bene come nel male.



Ecco, se pensate a questi e ad altri esempi possibili, allora la pubblicità con la Ferilli ci dice più di quanto non voglia.
Da un lato, certo, ci dice di un'epoca in cui, dopo anni di produzione industriale standardizzata, si cerca la cura artigianale del prodotto, il vero "valore" del prodotto (Artigiani della qualità).
Ma cura artigianale vuol dire lavoro -tanto, impegnativo lavoro- di uomini e donne.
E quello spot ci dice anche, dall'altro lato, che il lavoro - quel lavoro che dà valore al prodotto - viene pagato "a metà prezzo". E infine che ogni protesta, anche solo accennata, è inutile: e anzi viene sbeffeggiata e ridotta all'impotenza, neutralizzata, con una battuta.

Non mi stupisce che il lavoro - e quello artigianale, per di più: che vuol dire lavoro estremamente qualificato, applicazione di passione e ingegno, oltre che di abilità manuale - venga poco considerato. Lo si può leggere con chiarezza nei dati e nelle storie delle fabbriche che chiudono dalla mattina alla sera, di nascosto, con gli "imprenditori" che, come ladri nella notte, se ne vanno da un'altra parte dove il lavoro costa di meno.
Quello che mi fa arrabbiare è che questo stato di cose abbia finito per essere raccontato da un messaggio pubblicitario. Perché se la pubblicità intercetta "lo spirito del tempo" - o, peggio, mostra desideri e aspirazioni di una società -, allora l'idea che oggi abbiamo del lavoro è che esso debba essere pagato solo la metà di quanto merita (e talvolta anche meno).
E ogni volta che sento questi "artigiani della qualità" umiliarsi di fronte alla Ferilli, io non posso fare a meno di pensare che siamo davvero ai saldi di fine stagione: e che la merce che viene svenduta siamo noi.
 
Andrea Sangiovanni © Creative Commons 2010 | Plantilla Quo creada por Ciudad Blogger