la televisione è un romanzo

Sto leggendo La battuta perfetta, un romanzo di Carlo D'Amicis (Minimum Fax, 2010, pp. 363), uno dei pochi che io conosca che hanno come centro focale la televisione.
Magari ne riparleremo, ma per ora vi segnalo due frasi efficaci, che raccontano bene i nostri anni e alcune caratteristiche della tv:

Avevo mille voci e nessun volto - e finalmente ero io. Tutti quegli anni davanti al teleschermo mi avevano reso il più italiano degli italiani. Capivo cosa volevano dire, e lo dicevo meglio. Al contrario, gli anni trascorsi a origliare dietro al video non erano bastati a mio padre per capire ciò che gli italiani volevano sentire (p. 195)
 Chi parla è Canio Spinato, uno dei due protagonisti, rampante autore/attore della televisione commerciale, figlio di Filippo Spinato, oscuro e moralista funzionario Rai. Nel confronto fra i due, metafore fin troppo evidenti di due modelli televisivi, si consuma il racconto che, a un certo punto, vede Canio confrontarsi con un Berlusconi esordiente imprenditore televisivo. I due studiano una fotografia del futuro Cavaliere che lo ritrae ottimista e sorridente. Ma Canio non è convinto:
"Certo. L'ottimismo è una grande qualità. E assieme alla volontà costituisce un magnifico slogan di partito. Ma ... sì, insomma", dò un colpetto con le nocche sui ritratti, "qua, secondo me di ottimismo ce n'è troppo".
Pensieroso, Berlusconi avvicina e allontana le foto, come se un'improvvisa presbiopia gli impedisse di mettere a fuoco. "Intende dire che, se qualcosa dovesse andare di traverso, il mio sorriso fiducioso diventerebbe la smorfia di un pirla?".
"No, non c'è niente che possa andare veramente di traverso. Il pericolo è virtuale, come la televisione. A differenza della politica, che deve fare, noi dobbiamo soltanto promettere. Promettere benessere, allegria. Ma soprattutto dobbiamo promettere ciò che esiste solo in quanto promessa, e che quindi promettendo realizziamo. Mi consenta, dottore, noi dobbiamo promettere la felicità. (...) Noi dobbiamo comunicare che la felicità è un diritto. Che felice è l'anagramma di facile. Ma nello stesso tempo bisogna ribadire che noi ne siamo i depositari. Che noi paghiamo i costi. Che questo diritto lo difendiamo ogni giorno da un nemico (...) ansioso di imbavagliare la loro legittima gioia".
(pp. 216-217)

una storia diversa...

...o piuttosto un modo diverso di fare storia.
Io l'ho scoperto casualmente (mea culpa, non ero stato attento) e per ora ve lo segnalo: appena si comincia, ci sarà il modo di riparlarne.
Di che si tratta?
il manifesto racconterà in tre fascicoli settimanali (a partire da domani) la storia del risorgimento in un modo molto diverso da quanto è stato fatto finora. Non solo ci saranno approfondimenti tematici di studiosi di quel periodo (un nome su tutti, Marco Meriggi), ma, fuori da ogni retorica e lontano da ogni celebrazione agiografica, alcune vicende saranno raccontate con brevi storie a fumetti. I nomi degli autori - da Diego Cajelli a Roberto Recchioni - sono interessanti e il loro approccio alle storie è sempre originale: vedremo quale sarà il loro approccio alla Storia.  

20 settembre, la breccia di Porta Pia

E' la sera del 20 settembre 1905 e su uno schermo teso davanti alla breccia di Porta Pia ci sono migliaia di persone che assistono con "entusuastiche acclamazioni" e "commossa partecipazione agli episodi che trentacinque anni or sono fecero palpitare i cuori di tutti gli italiani": così scriveva "La Tribuna", commentando la proiezione di quello che è considerato il primo film italiano a soggetto, la Presa di Roma, "speciale ed artistico lavoro" di Filoteo Alberini.



Con i suoi 250 metri, articolati in 7 "quadri", l'accurata ricostruzione degli avvenimenti e degli "scenari riprodotti dal Prof. Cicognani su fotografie del Tuminello eseguite il 21 settembre 1870", la recitazione affidata ad attori di teatro, la precisione e la cura con cui sono riprodotte le uniformi, la veridicità dei gesti e delle azioni militari, l'interazione di spazi reali e simbolici, l'alternanza di riprese in studio e in esterni, La presa di Roma mette subito in chiaro le sue ambizioni. Per le riprese in esterni il Ministero della guerra ha "accordato soldati, cavalleggeri, artiglieri, uniformi ed armi". Nell'atto stesso in cui Alberini e Santoni presentano le credenziali sul tavolo della produzione internazionale attuano un attacco frontale alle convenzioni in uso, e fissano l'indicatore segnaletico per la cinematografia nascente
(G. P. Brunetta, Cent'anni di cinema italiano, Laterza, Roma-Bari, 1991, pp. 1-2)
che  continuerà ad essere caratterizzata per una forte attenzione alla storia nazionale, anche reinventata.

livore

No, purtroppo non il Gianni, lo splendido personaggio di Corrado Guzzanti. Quello che è trasudato dal mio televisore durante il tg1 delle 13.30 di oggi.
In realtà, erano giorni che avevo intenzione di dire due parole sul successo del telegiornale di Mentana su La7, sul suo boom di ascolti, sulla capacità di Mentana di fare del giornalismo originale sfruttando gli spazi che le altre testate gli lasciano.
Naturalmente la controparte di questo discorso è il TG1 di Minzolini, che invece sembra stia perdendo ascolti e che continua ad essere oggetto di critiche ogni volta che decide di "dare la linea" con un nuovo editoriale (come se la linea non fosse abbastanza chiara dall'impaginazione del giornale e dal confezionamento degli articoli).
Poi scorrono le immagini del TG1 delle 13.30 e tutti i miei piani saltano, almeno per ora. E mi ritrovo a parlare di livore (no, purtroppo: non Gianni).
E' puro livore infatti quello che un servizio spande a piene mani, a metà telegiornale. Oggetto del servizio? la scomparsa del giornale-partito. Accipicchia! un tema da lezione di un master di giornalismo.
E invece, più semplicemente, era un furibondo attacco a la Repubblica, che - secondo il cronista - sta pendendo copie a vantaggio di giornali schierati dalla stessa parte (e le immagini mostravano Il fatto quotidiano) ma anche i giornali della parte avversa (e le immagini inquadravano Libero e Il Giornale). Ma il tema non era la situazione editoriale in Italia: erano gli articoli che ultimamente Repubblica ha dedicato al "caso Minzolini" e, in particolare, al Requiem per il pastone del TG (l'articolo lo trovate qui).
Mi ha incuriosito il fatto che, ad un ascolto distratto, il testo sembrasse scritto dallo stesso Minzolini (purtroppo non mi sono appuntato il nome del giornalista), quasi fosse un editoriale fantasma.
E soprattutto mi incuriosirebbe sapere quanti degli ascoltatori distratti di un sabato qualunque dell'ora di pranzo sanno cos'è un giornale-partito. Da quello che si sentiva sembrava di capire che Repubblica è un giornale che ha un partito. Oppure è un giornale di partito. Tutte cose che, comunque, lasciavano ben intendere che non è un giornale che dice la verità ed è obiettivo: come invece è il TG1, è chiaro.
Faziosità? Quantomeno mancanza di chiarezza espositiva.
Se non, addirittura, mancanza di notizie (qual'era la notizia: che Repubblica è in calo di lettori? che il tg1 è bravo?).
E poi dicono che Mentana vince nella gara degli ascolti. Non è che ci voglia molto...

Bah, facciamoci due risate:

letture estive - Il treno

Cominciamo da qui:
...la graphic novel che punta ormai a toccare la letteratura, è pur sempre un’erede e debitrice del fumetto...
Lo ha scritto Mirella Appiotti su La Stampa (se vuoi leggere tutto clicca qui): voleva parlar bene delle graphic novel ma forse non si rendeva conto di quello che scriveva. La graphic novel, infatti, come dice il nome, è una forma letteraria: una novella in forma grafica. Inventata - dicono - da Will Eisner: ma forse sarebbe più corretto dire "formalizzata" dal grande autore americano, perché già Una ballata del mare salato di Hugo Pratt aveva tutti i tratti di un romanzo disegnato. In ogni caso è quell'è pur sempre un'erede e debitrice del fumetto che irrita con la sua implicita sottovalutazione della forma narrativa fumetto; quando, invece, la graphic novel è un fumetto.
Del resto, però, l'articolo in questione riflette abbastanza bene la situazione editoriale italiana, con le grandi case editrici che hanno scoperto questa forma letteraria e narrativa, iniziando a proporre volumi a fumetti per le librerie di varia. Da un lato questo consente di allontanare il fumetto dal recinto chiuso e un po' iniziatico (per il pubblico generico) delle fumetterie (sebbene in Italia la grande distributrice sia stata, e - credo - continui ad essere, l'edicola); dall'altro però, schiava di quel pregiudizio che affiora nella frase della nostra giornalista, l'editoria si sente costretta a proporre fumetti in forma di graphic novel, riabilitandoli dalla loro originaria - e solo ipotetica, in realtà - destinazione infantile.
(Per sapere qualcosa di più sulle "graphic novel" segui il link)

Tutta questa lunga premessa serviva solo per arrivare a parlare di questo libro, letto quest'estate.
E' una graphic novel, appunto, sulla strage della stazione di Bologna e sugli anni che l'hanno preceduta.
Una lettura che promette molto e non mantiene tutto, ma che contiene comunque qualche segnale positivo. Innanzitutto perché si inserisce nel solco di altre storie a fumetti che hanno cercato di raccontare gli anni Settanta, a lungo rimossi dalla scena letteraria italiana e che, in questo modo (e dopo libri come Piove all'insù o Il passato davanti a noi), tornano a chiedere di essere elaborati e discussi lontano da una narrazione pubblica che li ha omologati sotto il cupo cielo degli anni di piombo.
Poi perché è un racconto narrato da chi quegli anni non li ha vissuti, ma cerca di capirli raccontandoli.

Solo che, forse proprio per questi motivi, finisce per costruire una storia fin troppo semplice dove le piccole storie individuali sono trascinate e travolte dalla grande Storia collettiva, che non viene veramente raccontata ma della quale si evoca solo l'atmosfera. Per di più, quest'atmosfera è ricostruita attraverso "tipi" (mi veniva da dire stereotipi, ma forse è una parola troppo pesante) simbolici che rappresentano ma, allo stesso tempo, appiattiscono. E qui - spiace dirlo - il disegno rivela i suoi limiti perché contribuisce a "tipizzare" i soggetti (i giovani studenti rivoluzionari sorridono sempre, o quasi; i giovani fascisti sono sempre accigliati, o sono ceffi da galera), lasciando la sensazione di un racconto incapace di scendere in profondità.
Certo, è pur sempre un racconto pieno di emozione, sulle strane strade che talora prende la vita, travolta dall'incrociarsi dei sentimenti privati e di quelli pubblici, dal desiderio della felicità individuale e dal diritto alla felicità collettiva, investita dall'onda d'urto della Storia, che accade sempre dietro l'angolo anche quando ci sei in mezzo e non sai che cosa ti ha investito.
E se deve essere questo il modo per spingere qualcuno a farsi qualche domanda e a cercare qualche risposta, ben venga, anche con tutti i suoi limiti, le sue proporzioni anomale e le sue prospettive prive di profondità.
Ricordate la tesi di Pierangelo Tempesta di cui avevo parlato prima dell'inizio delle vacanze estive?
C'era qualcosa che non avevo avuto il tempo di mettere on line, il breve montaggio che Pierangelo portò alla sua discussione di laurea: sono immagini di dominio pubblico (tutte riprese da youtube) con cui ha riassunto alcuni dei passaggi più significativi degli anni di Mani Pulite. Una piccola ma significativa sintesi di anni difficili ed esaltanti, in cui i media (e la televisione più di altri) seppero intercettare i sentimenti collettivi ma finirono anche per amplificarli fino a rischiare di rendere un processo politico in un evento mediatico.

si riparte

Tutti insieme, spalla a spalla, molleggiati sulle gambe, pronti al via.
Domani si riparte.
Per ora si comincia con calma: esami e revisioni di tesi.
Ma tra un po' si accelera il passo
 
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