letture estive - Il treno

Cominciamo da qui:
...la graphic novel che punta ormai a toccare la letteratura, è pur sempre un’erede e debitrice del fumetto...
Lo ha scritto Mirella Appiotti su La Stampa (se vuoi leggere tutto clicca qui): voleva parlar bene delle graphic novel ma forse non si rendeva conto di quello che scriveva. La graphic novel, infatti, come dice il nome, è una forma letteraria: una novella in forma grafica. Inventata - dicono - da Will Eisner: ma forse sarebbe più corretto dire "formalizzata" dal grande autore americano, perché già Una ballata del mare salato di Hugo Pratt aveva tutti i tratti di un romanzo disegnato. In ogni caso è quell'è pur sempre un'erede e debitrice del fumetto che irrita con la sua implicita sottovalutazione della forma narrativa fumetto; quando, invece, la graphic novel è un fumetto.
Del resto, però, l'articolo in questione riflette abbastanza bene la situazione editoriale italiana, con le grandi case editrici che hanno scoperto questa forma letteraria e narrativa, iniziando a proporre volumi a fumetti per le librerie di varia. Da un lato questo consente di allontanare il fumetto dal recinto chiuso e un po' iniziatico (per il pubblico generico) delle fumetterie (sebbene in Italia la grande distributrice sia stata, e - credo - continui ad essere, l'edicola); dall'altro però, schiava di quel pregiudizio che affiora nella frase della nostra giornalista, l'editoria si sente costretta a proporre fumetti in forma di graphic novel, riabilitandoli dalla loro originaria - e solo ipotetica, in realtà - destinazione infantile.
(Per sapere qualcosa di più sulle "graphic novel" segui il link)

Tutta questa lunga premessa serviva solo per arrivare a parlare di questo libro, letto quest'estate.
E' una graphic novel, appunto, sulla strage della stazione di Bologna e sugli anni che l'hanno preceduta.
Una lettura che promette molto e non mantiene tutto, ma che contiene comunque qualche segnale positivo. Innanzitutto perché si inserisce nel solco di altre storie a fumetti che hanno cercato di raccontare gli anni Settanta, a lungo rimossi dalla scena letteraria italiana e che, in questo modo (e dopo libri come Piove all'insù o Il passato davanti a noi), tornano a chiedere di essere elaborati e discussi lontano da una narrazione pubblica che li ha omologati sotto il cupo cielo degli anni di piombo.
Poi perché è un racconto narrato da chi quegli anni non li ha vissuti, ma cerca di capirli raccontandoli.

Solo che, forse proprio per questi motivi, finisce per costruire una storia fin troppo semplice dove le piccole storie individuali sono trascinate e travolte dalla grande Storia collettiva, che non viene veramente raccontata ma della quale si evoca solo l'atmosfera. Per di più, quest'atmosfera è ricostruita attraverso "tipi" (mi veniva da dire stereotipi, ma forse è una parola troppo pesante) simbolici che rappresentano ma, allo stesso tempo, appiattiscono. E qui - spiace dirlo - il disegno rivela i suoi limiti perché contribuisce a "tipizzare" i soggetti (i giovani studenti rivoluzionari sorridono sempre, o quasi; i giovani fascisti sono sempre accigliati, o sono ceffi da galera), lasciando la sensazione di un racconto incapace di scendere in profondità.
Certo, è pur sempre un racconto pieno di emozione, sulle strane strade che talora prende la vita, travolta dall'incrociarsi dei sentimenti privati e di quelli pubblici, dal desiderio della felicità individuale e dal diritto alla felicità collettiva, investita dall'onda d'urto della Storia, che accade sempre dietro l'angolo anche quando ci sei in mezzo e non sai che cosa ti ha investito.
E se deve essere questo il modo per spingere qualcuno a farsi qualche domanda e a cercare qualche risposta, ben venga, anche con tutti i suoi limiti, le sue proporzioni anomale e le sue prospettive prive di profondità.

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Andrea Sangiovanni © Creative Commons 2010 | Plantilla Quo creada por Ciudad Blogger