ma voi, come vi informate?

Ne avevo già parlato qui.
Poi, nella giornata di ieri, ho visto due cose che mi hanno spinto a tornare sull'argomento.
La prima è questa:



E' un'intervista realizzata all'Università di Teramo dagli studenti del master in giornalismo, realizzato da Angelarosa Pinto e Francesca Rapposelli (se volete altre informazioni, o volete semplicemente vedere che cosa fanno, andate qui).
L'altra è stata un'intervista trasmessa ieri sera da Anno Zero: la trovate andando qui.
Purtroppo all'inizio dovrete subirvi un breve trailer. Per fortuna c'è di molto peggio e dura solo quindici secondi: vale la pena aspettare.
E' l'intervista ad uno dei blogger che stanno dando a tutto il mondo le notizie su quanto accade in Libia.
Tutti abbiamo letto che internet è stata chiusa dal Regime: vederlo in un grafico - riferito al periodo tra il 15 e il 22 febbraio - fa molta più impressione.
grafico realizzato da Akamai sul flusso delle connessioni dalla Libia
La cosa che mi sembra interessante sottolineare, in relazione a quanto avevo già scritto da queste parti, è che la maggior parte delle informazioni, sia nel caso drammatico della Libia, sia in quello ordinario e quotidiano degli studenti dell'università di Teramo, avviene attraverso Facebook.
E questo può farci pensare al modo in cui i social network cambiano funzione in conseguenza dell'uso sociale che ne viene fatto.
Nel caso dei ragazzi intervistati all'università, quasi sempre sembra trattarsi di notizie che circolano nel gruppo dei pari, fra amici che condividono gli stessi interessi.
Nel caso del blogger libico siamo di fronte a qualcosa di molto più complesso. E importante, direi. La società che si rivolge a quella persona, a quella postazione non è il gruppo di pari, più o meno ampio. E' il mondo intero. L'opinione pubblica internazionale.
E' lo stesso processo per cui i tweet hanno smesso di aggiornarci sulle vicessitudini di attori e attrici e hanno cominciato, ormai da tempo, ad aggiornarci su quello che accade nel mondo.
Sembra tutto così nuovo, inedito, moderno. E invece è solo il segno che i media non sono che strumenti, formati dall'uso sociale che ne viene fatto. Già alla fine degli anni Settanta, del resto, i telefoni a gettoni e le radio erano diventati lo strumento attraverso il quale raccontare e organizzare la ribellione.

centosessantaquattro candeline

Accendo il computer, mi collego e Google è così gentile da ricordarmi che oggi è l'anniversario della nascita di Thomas Alva Edison. Non un anniversario tondo, visto che nacque nel 1847. Ma Edison è stato uno dei geni da cui, tra Ottocento e Novecento, è nata la nostra società dell'informazione, non solo come inventore ma anche come uomo d'affari: ed è giusto ricordarlo comunque.
Alla fine dell'800 era definito un "mago dei tempi moderni" e gli venivano attribuite capacità che, appunto, sconfinavano nella magia.
Chi ne parlava così era uno scrittore francese, Villiers de L'Isle Adam, che nel 1886 pubblicò un libro in cui Edison aveva un ruolo da protagonista, un po' deus-ex-machina capace di invenzioni mirabolanti pur di eliminare lo spleen che angustiava il nobile Lord Ewald.
Il libro si chiamava Eve Future e fra le meraviglie che Edison mostra a Ewald c'è una incredibile macchina, in cui molti hanno visto l'anticipazione del cinematografo:
...un lungo nastro gommato, tutto cosparso di minuzzoli di vetro dalle diafane tinte, si stendeva fra due aste d’acciaio davanti alla fonte luminosa d’una lampada astrale. Tirato per una delle sue estremità da un meccanismo a orologeria, cotesto nastro di stoffa cominciò a scorrere molto rapidamente fra la calotta e la lente di un potente riflettore. E questo subito riflesse sulla bianca tela ch’era stesa dirimpetto, inquadrata in una cornice d’ebano con rosone in cima, l’apparizione di una bellissima e giovanissima donna fulva. L’apparizione, di prodigiosa trasparenza nella fotografia colorata, danzava in un costume pieno di bisantini un ballo popolare messicano. I movimenti si svelavano con le sfumature della vita stessa mediante i metodi della fotografia successiva, che riesce a cogliere sui microscopici vetri azioni di dieci minuti, riflesse poi da un potente lampascopio. Quindi Edison toccò una scanalatura nel festone della nera cornice e colpì con una scintilla il centro del rosone d’oro. Immediatamente si udì una voce piatta e manierata, una voce un po’ confusa e dura. La danzatrice cantò l’alza e l’olé del suo fandango. Il tamburello cominciò a rombare sotto i colpi di gomito e le nacchere strepitarono. Comparvero, riprodotti, i gesti, gli sguardi, le smorfie delle labbra, l’ondeggiare delle anche, il battere delle palpebre, l’espressione del sorriso. Lord Ewald con muta sorpresa contemplava quella visione.
Se volete leggere un altro po' di questo strano romanzo d'anticipazione, potete farlo qui, nel catalogo del progetto Gutenberg.
E' un brano citato spesso nelle storie del cinema, a partire dalla classica Storia generale del cinema di George Sadoul, il quale, però, giustamente avverte di non attribuire troppa preveggenza alla scrittura di Villier de l'Isle Adam perché
 in realtà lo scrittore, che non poteva ignorare il vivo successo ottenuto nel gran mondo parigino dalle fotografie successive di Muybridge e aveva potuto veder funzionare un prassinoscopio da proiezione di Reynaud, si è limitato a riprodurre, con alcuni abbellimenti, gli apparecchi per immagini animate che già esistevano nel 1885. (G. Sadoul, Storia generale del cinema. Le origini e i pionieri (1832-1909), Einaudi, Torino, 1965, pp. 88-89)
 Magari non sei stato un profeta, però il cinema l'hai inventato per davvero, anche se lo chiamavi kinetoscopio ed era fatto così
Felice compleanno, Thomas.

notarelle di fine corso

Ora che il laboratorio di comunicazione multimediale si è chiuso.
Ora che tutti gli studenti si stanno preparando per l'esame.
Ora che i giochi sono fatti e che non si può più tornare indietro.
Ora, che è una domenica pomeriggio, forse posso provare a guardare al percorso fatto fino ad ora e iniziare a tirare un po' di somme.
Naturalmente, l'ultima parola potremo dirla solo quando tutto sarà davvero concluso, e cioè quando avrò visionato i progetti dei singoli studenti. Ma allora tutti potranno farsene un'idea perché - se le cose andranno come devono andare - ci sarà un sito dove vedere i risultati di questi mesi di lavoro.

Ah, per i distratti, del laboratorio ho già parlato qui, qui e qui. E ancora qui e qui. Se siete curiosi, se non sapete di che cosa sto parlando, se forse lo sapete ma non ve lo ricordate, andate a vedere.

Da dove cominciare? Da qui, direi.
Il logo qui accanto è quello del sito di condivisione di progetti che Gabriele D'Autilia ed io abbiamo deciso di sperimentare durante il corso. Avevamo bisogno di un "luogo" virtuale dove continuare le discussioni iniziate a lezione e dove far confluire tutti le informazioni che stavamo accumulando, informazioni a cui tutti gli studenti avrebbero potuto accedere per poter realizzare i loro progetti.
Inizialmente avevamo pensato di farlo attraverso un gruppo chiuso di Facebook, ma esperienze precedenti non del tutto positive ci hanno fatto desistere: Facebook ci è sembrato troppo dispersivo, troppo "personale" e, allo stesso tempo, poco versatile.
Devo dire che panmind si è rivelato funzionale. Era un progetto appena partito quando abbiamo iniziato ad usarlo e, in qualche modo, si può dire che sia cresciuto insieme al nostro lavoro.
L'unico problema, forse, è che il suo uso non è immediatamente intuitivo e, soprattutto, che i materiali (file di testo, video, file sonori) che vengono caricati non sono fruibili attraverso il sito stesso, ma devono essere scaricati. Se ci fossero state entrambe le opzioni ("scarica" e "ascolta/vedi/leggi online"), magari, sarebbe stato meglio: ma ci siamo accontentati.
Quello che ho trovato veramente utile, in realtà, è stata la possibilità di vedere il lavoro fatto dai singoli componenti del progetto.
E qui cominciano le note dolenti. Perché ho il sospetto che quello che io penso di Panmind  non sia condiviso dai miei studenti: insomma, non è che lo abbiano usato molto. E, comunque, non lo hanno usato al meglio delle sue possibilità.
Qualcuno mi ha detto che ha avuto qualche problema con il caricamento dei file.
Ma non credo che il problema sia tutto qui.
Credo, piuttosto, che ci sia stato un problema più generale con il corso. Il laboratorio era tutto impostato sul lavoro di gruppo e sulla realizzazione di un progetto comune, e sin dall'inizio abbiamo spiegato che, essendo un laboratorio, il corso avrebbe avuto sia una parte teorica sia una parte pratica: e che la parte pratica sarebbe stata altrettanto importante di quella teorica.
Evidentemente, però, alla maggior parte degli studenti che avevano iniziato a seguire il corso questo è sembrato strano.
Evidentemente, il lavoro di gruppo e il lavoro condiviso non sono stati concetti che siamo riusciti a trasmettere ad una gran parte di chi seguiva il corso.
Ma.

Ma c'è stato un gruppo di studenti che ha seguito tutte le lezioni.
Che si è messo in gioco e ha condiviso le proprie ricerche e le progressive stesure dei propri progetti.
 Che si è sperimentato con tecniche nuove.
E ogni volta che qualcosa andava per il verso giusto, ogni volta che il progetto assumeva spessore e concretezza, ogni volta che metteva in pratica quello che aveva sentito in una discussione teorica, una piccola luce brillava nei loro occhi.

E quella luce fugace, per ora, mi basta.
 
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