L'Aquila - Viaggio in Abruzzo (6)

La puntata su L'Aquila (in onda ieri, lunedì, dopo la pausa del fine settimana) è stata forse la più dolorosa da realizzare. E' stata pensata come un omaggio alla città, e non poteva che partire dal terremoto del 2009 e procedere a ritroso, mostrandola com'era prima.
E così, ecco apparire tutta la raccolta bellezza dell'Aquila, nelle strade piene di persone e auto, di vita.
O ancora i vicoli alle cui strette finestre si affaccia solo qualche "anziano pigro", come diceva un commento che mi ha colpito per la sua involontaria irriverenza.
Ma ecco anche sfilare tutte le contraddizioni della città, come gli scontri per il capoluogo, o le guide dei musei capaci di parlare solo un italiano fortemente dialettale.

In questo caso, i filmini racconti dall'Archivio Audiovisivo della Memoria Abruzzese, non sono stati che un tramite, una coda per uscire da una cronaca o un "gancio" per introdurre un nuovo argomento. Gancio visuale, come le montagne che portavano "fuori" dalla città, o cronologico, giocando sull'assonanza degli anni in cui venivano girati i filmini privati e i reportage pubblici.
E quel senso di sottile nostalgia che, nel confronto con l'oggi, permea tutta la puntata è rafforzato dalla consapevolezza che molta di quella memoria privata contenuta nelle fotografie di famiglia o, peggio ancora, nelle fragili "filmine" dei super8, è probabilmente andata persa.

Così, per inciso, ben vengano le iniziative che a quella memoria guardano, come questa per esempio
 Una memoria che, io credo, non dovrebbe però limitarsi a ricordare ciò che era prima. Ma dovrebbe guardare a ciò che sarà.
Perché, mi viene da dire con un paradosso, il verbo ricordare si declina al futuro.

L'Abruzzo in cammino - Viaggio in Abruzzo (4)

Ed eccoci alla quarta puntata, quella per cui - forse - è stato fatto il lavoro più complesso.
Abbiamo cercato infatti di raccontare due storie in parallelo.
Il racconto pubblico, quello della Rai, si concentrava sulla fase iniziale dell'emigrazione, la partenza: erano storie prevalentemente centrate su chi restava, su quanto l'emigrazione costituisse un depauperamento per le aree di avvio dell'esodo.
L'emigrazione come dramma, insomma: per chi parte e per chi resta.
Il racconto privato suggerisce invece un percorso circolare: dalla partenza da un paese povero al difficile ambientarsi nella nazione di destinazione. Dalla lenta acquisizione di usi e costumi diversi, agli sforzi per mantenere un legame con la terra di origine, legami rinsaldati a tavola, con la musica, con le visite dei parenti e dei compari. E infine, poi, il ritorno, cambiati in un paese che è rimasto lo stesso solo nell'immaginazione di chi è stato lontano per tanto tempo.
L'emigrazione come possibilità, dunque: come speranza e trasformazione.

Certo, provare a raccontare questo lungo percorso esistenziale con poche sequenze è stata un po' una sfida. E a complicarla ulteriormente c'era la contrapposizione fra due punti di vista opposti, che volevamo però ricondurre ad unità, per tentare di descrivere la complessità di un fenomeno senza rinunciare al piacere del racconto.
Solo voi potete dire se e quanto ci siamo riusciti.

Comunque, ci ha aiutato molto  il fatto che alcuni dei filmini donati all'Archivio Audiovisivo della Memoria Abruzzese, e in particolare quelli del Signor Renzi (Monticelli, Teramo), sono stati sonorizzati dallo stesso cineamatore. E se questo ha posto dei problemi dal punto di vista del montaggio (come conciliare il fondo musicale scelto dall'autore con quello che avevamo deciso di mettere noi?), ci ha invece permesso di suggerire allo spettatore un preciso punto di vista, senza aggiungere cartelli esplicativi.
In questo senso, forse, la cosa più bella è la lunga sequenza di visite ai parenti e ai compari che il signor Renzi ha filmato con dovizia di particolari, identificando con nome e cognome ogni singolo personaggio su cui si sofferma l'obiettivo. Individuando i luoghi in cui i suoi amici vivevano e quelli in cui avevano lavorato. Come se, attraverso questi dettagli, potesse trovare la loro nuova identità.
Certo, occorre guardare con un po' di distacco a queste immagini, non farsi prendere dalla loro forza affabulatrice. Se non si facesse così, ci si perderebbe in una sequenza di sorrisi, brindisi, scene di serenità familiare che sono solo una parte di quella vita di abruzzesi fuori dall'Abruzzo: tutto il resto - il senso di distacco, la solitudine, le difficoltà di inserimento - rimane per lo più lontano dall'obiettivo. E del resto, anche il film di famiglia non è che la "messa in scena" di un'idea di famiglia, quasi la raffigurazione di un'aspirazione di vita.

Terra di santi e di poeti - Viaggio in Abruzzo (3)

E così è andata anche la terza puntata.
Vi sta piacendo il racconto?
A proposito, questa parola mi fa venire in mente che non vi ho ancora detto una cosa importante (mea culpa, mea culpa): la principale narratrice di queste storie è Marta La Licata e l'artefice del montaggio è Marco Caroni. Grazie a loro siamo riusciti a trovare (credo) un buon equilibrio tra il racconto pubblico della televisione italiana e quello privato delle famiglie abruzzesi.

E questo ci porta alla puntata di ieri che ci ha condotto in un viaggio nella storia dell'Abruzzo attraverso tre grandi personaggi, Celestino V, Gabriele D'Annunzio e Ennio Flaiano.
In questo caso, far incontrare i due sguardi, quello pubblico e quello privato, non è stato facile.
Infatti, se c'è una cosa che i film di famiglia difficilmente ci possono restituire sono le vicende dei grandi personaggi, anche se - ultimamente - capita sempre più spesso di vedere i film privati all'interno dei documentari biografici. Mi viene in mente per esempio Questa storia qua, un film su Vasco Rossi che usa molti materiali privati, video e super8, oltre alle inevitabili fotografie (non lo avete visto? l'uso della memoria audiovisiva familiare è molto evidente anche nel trailer. Dateci un'occhiata, e poi tornate qua).
Ma questa storia qua non è la nostra storia.
Nella nostra storia, stavolta, i film di famiglia sono serviti soprattutto per ambientare il racconto e legarne i vari capitoli, diciamo così. Una funzione di raccordo, insomma.
E però abbiamo cercato di fargli dire qualcosa in più, piccole cose che potessero arricchire la storia.
Quanta distanza c'è, ad esempio, fra la Pescara di Flaiano e quella che filmavano i padri di famiglia solo qualche anno più tardi?
Ed è possibile ritrovare qualcosa dell'Abruzzo di Silone nei fotogrammi sgranati della fine degli anni Quaranta? Oppure in quelli dei decenni successivi, quando piccole cineprese cercano di immortalare la maestosità delle montagne per rievocarle poi sulle pareti di un salotto?
Ecco, forse è questa distanza fra memorie il sottotesto della puntata.
Da una parte la memoria privata degli scrittori, che attraverso l'elaborazione narrativa diventa immaginario collettivo. Dall'altra la memoria privata di una classe media, che, recandosi sui luoghi narrati dagli scrittori cerca di riprodurne le suggestioni, attingendo in questo modo ad un immaginario simbolico di cui è entrata in possesso attraverso la lettura.
Un percorso che ha quasi un andamento circolare, in cui storia, immaginario e memoria si alimentano a vicenda, per raccontarci un paese che - forse - non c'è, ma non per questo è  meno reale.

La più bella e la più brava d'Abruzzo - Viaggio in Abruzzo (2)

Ieri mi sono dilungato un po' troppo. Il piacere di intraprendere un nuovo viaggio, certe volte, ti fa prendere male le distanze, e la prima tappa è stata forse un po' lunga.
 Lunga come il titolo della seconda tappa,  La più bella e la più brava d'Abruzzo.
Alle orecchie di qualcuno potrebbe sembrare ironico, oppure sfacciato nel suo essere "d'altri tempi".
E, in effetti, è un titolo "d'altri tempi", come potete vedere:

È il fotogramma iniziale di una "Settimana Incom" del 1953 che racconta di un  concorso di bellezza piuttosto anomalo che si svolgeva in Abruzzo e Molise tra gli anni '50 e '60. Era organizzato dagli Enti per il turismo della regione e ambiva ad eleggere, appunto, la ragazza più bella e più brava d'Abruzzo, una ragazza per cui la bellezza non era il primo requisito: ciò che importava era che avesse "le mani d'oro", perché doveva saper cucinare piatti della tradizione e svolgere alla perfezione le tipiche mansioni casalinghe, come spiegava un articolo del 1956.
Nella puntata abbiamo cercato di mettere sotto osservazione questo stereotipo.
E i filmini di famiglia si prestano bene a questo compito perché sono girati prevalentemente dai capifamiglia maschi: ciò che si riflette nel loro sguardo, quindi, è un'immagine tipica della donna, moglie e madre. La donna come desiderano che sia, si potrebbe quasi dire. E così non è difficile leggere nelle loro sequenze quale sia il ruolo della donna in una famiglia ancora fortemente patriarcale: esemplari quei fotogrammi in cui le donne servono in tavole alle quali non siedono.
E però alcune di queste donne rompono le consuetudini, infrangendo l'immagine tradizionale: sono donne che guardano direttamente nella macchina da presa, e che la "usano" per "mettersi in mostra", per dare un'immagine di sé lontana dallo sguardo stereotipato di chi le riprende. Donne che, per esempio, sfidano il proprio fidanzato - e il galateo sociale - rubandogli una sigaretta per fumare in pubblico.
Ed ecco che, ancora una volta, tra i fotogrammi dei film di famiglia si insinua la modernità. Nel loro succedersi si può osservare il lento modificarsi i ruoli sociali. Oppure il modo in cui cambia la percezione del corpo, con donne che non sono più "in posa", immobili davanti ad un obiettivo, ma si "mettono in mostra", giocando con la cinepresa e con lo sguardo che gli sta dietro. E, ancora, le forme tutte nuove in cui manifesta l'affettività.
In questo gioco di sguardi e volti e corpi, c'è anche un piccolo, ulteriore riferimento al titolo: verso la fine della sequenza iniziale che serve per introdurre la puntata, c'è una veloce panoramica su un gruppo di ragazze in fila. Stacco improvviso e tutte le ragazze si abbracciano: sembra quasi di sentirle urlare dalla gioia, mentre si lanciano le une sulle altre. È ancora una volta un concorso di bellezza, ma ora siamo agli inizi degli anni Ottanta, e la modesta esibizione che suscita tutti questi entusiasmi conclude la festa di un paesetto tra le montagne teramane.
Le più belle e le più brave d'Abruzzo sono diventate ragazze come le altre.

La terra si ammala ma non muore - Viaggio in Abruzzo (1)

 Vista la prima puntata del Viaggio in Italia che Rai Storia sta dedicando all'Abruzzo?
 Cominciamo allora questa specie di viaggio parallelo, per approfondire qualche aspetto di quello che è appena andato in onda. Mi piacerebbe raccontarvi qualche retroscena, qualche inside joke che potrebbe esservi sfuggito. Condividere con voi qualche episodica riflessione, anche sulla natura dei film di famiglia.

 Un'immagine diffusa dell'Abruzzo lo vuole regione isolata, chiusa tra le sue montagne, gelosa delle sue tradizioni e impermeabile alla modernità: terra "forte e gentile", di pastori e donne silenziose, lupi e briganti. Un immaginario un po' datato, magari, visto che i lupi sono quasi a rischio di estinzione (per non parlare dei briganti). Ma tant'è.
La puntata di ieri nasceva proprio da questi frammenti dell'immaginario collettivo, sedimentatisi e inspessitisi in luoghi comuni, e li ha fatti incontrare (e scontrare) con le rappresentazioni private dei film di famiglia.
Il problema che abbiamo avuto, in questo caso, è stata la selezione dei materiali: forse ce ne sarebbero stati abbastanza da fare una puntata da un'ora, solo con i film di famiglia. Del resto, la gran parte dei filmini dell'Archivio della memoria di Teramo è degli anni Sessanta e Settanta, gli anni, cioè, della modernizzazione dell'Italia e di quella, leggermente ritardata ma impetuosa, dell'Abruzzo. Insomma, Quasi se giustamente contestualizzata, quasi ogni sequenza conservata nell'Archivio potrebbe essere usata per raccontare questa trasformazione.
La scelta, allora, non poteva che essere diversa: occorreva partire dallo scarto fra l'immaginario pubblico e quello privato. 
E allora, quanto c'è di quest'Abruzzo immaginario nei filmini familiari?
Beh, molte delle immagini che abbiamo visto sembrano raccontare proprio quell'Abruzzo lì, una regione povera, di montagne, pastori, contadini, donne con il fazzuolo in testa.
Sembrano, però.
Perché lo sguardo non è analitico, documentario, tanto meno di denuncia sociale. Piuttosto è uno sguardo complice, di chi si specchia in una realtà che riconosce come propria.
Avete visto, certo, le immagini del 1947 delle campagne intorno a Mosciano Sant'Angelo (TE): immagini di povertà, in cui c'è un contrasto stridente fra i "cafoni" e i "signori", contrasto fatto di abiti e atteggiamenti. Lì sembrerebbe esserci quasi una funzione di denuncia, o, quantomeno, la voglia di documentare una diversa realtà. E invece non è proprio così, perché quelle immagini erano state girate come un "monumento" per un emigrante arricchitosi e tornato in patria: e dunque il contrasto è cercato, quasi a sottolineare la condizione di partenza che ormai si è lasciata alle spalle.
Accanto a quelle, poi, avete visto le immagini della campagna: quei fotogrammi che sembrano usciti da un quadro naif, con una donna che conduce un carro stipato di fieno nella luce infuocata di un tramonto. Sono sequenze del 1968, che poi è l'anno in cui l'Abruzzo si apre al mondo, con le autostrade che lo collegano alla capitale.
Segno di una regione arcaica che finalmente si apre alla modernità?
Sì, certo, se abbiamo presente il contesto. Ma non solo, perché l'obiettivo che riprende quella e altre scene lo fa con naturalezza, direi quasi con orgoglio nel mostrare quel duro, ma quotidiano, familiare, mestiere dei campi.
Quello che si coglie - e che abbiamo cercato di raccontare - è come la modernità arrivi tardi, ma rapida e travolgente.
E allora non sono tanto le macchine per la trebbiatura che colpiscono: dalla prospettiva di chi gira quei film nelle campagne del teramano, la meccanizzazione del lavoro contadino è solo una benedizione, accolta però con ineluttabilità, con naturalezza.
Il cambiamento, la grande trasformazione degli anni '60 e '70 la si coglie invece nelle facce, negli sguardi, nella minore familiarità dei giovani con i mezzi e con i gesti del lavoro agricolo che erano soliti ai loro padri.
Il cambiamento, la modernità, paradossalmente, è proprio in quella piccola cinepresa che riprende il paesaggio agreste e i lavori contadini nelle contrade: lo sguardo del cineamatore è affettuoso, addirittura arcadico. Non sa che sta filmando un mondo destinato a trasformarsi impetuosamente nel giro di pochi anni, le cui prime avvisaglie si scorgono nelle macchine nuove parcheggiate nelle aie, nelle case costruite con i blocchi di cemento e non più con la pietra.
Piccoli segni che, nel racconto pubblico della televisione di stato, diventano la scoperta dei giacimenti di Pollutri o la costruzione dei laboratori di fisica nucleare del Gran Sasso. Cose di cui, nei film privati, girati, per così dire, ad altezza d'uomo, non c'è traccia. Perché quello che interessa ai cineamatori, nella maggior parte dei casi, è la propria, personale vicenda, o al massimo la trasformazione del territorio familiare, quello che si conosce come le proprie tasche: ed è lì che - quasi inaspettata intrusione - arriva la trasformazione dei lavori della Cassa per il Mezzogiorno. Oppure, quel soffermarsi sui grandi alberghi che vengono costruiti nelle località sciistiche montane, segno, per loro, che l'Abruzzo stava definitivamente cambiando e che noi oggi percepiamo come l'inizio di un inaccetabile consumo del territorio.
E allora, ecco ancora una volta quel gioco tra racconto pubblico, sguardi privati e memoria storica che rende questo viaggio così affascinante.

Viaggio in Abruzzo

Inizia stasera il ciclo dedicato all'Abruzzo della serie Viaggio in Italia, realizzato da Rai Storia. Andrà in onda da lunedì 14 a martedì 22 maggio, alle otto di sera: lo potrete vedere sul canale 805 della piattaforma Sky, sul canale 23 di Tivusat e sul 54 del digitale terrestre.

Si tratta di un lungo percorso attraverso la storia, le tradizioni e i personaggi delle regioni italiane, realizzato grazie all'immenso patrimonio dell'archivio Rai: non c'è una voce narrante, ma solo un percorso ragionato attraverso ciò che la più importante e capillare industria culturale italiana ha prodotto sulle regioni, realizzato giustapponendo servizi di approfondimento giornalistico, inchieste, speciali e quant'altro.  E così, questo viaggio diventa anche un itinerario nella nostra memoria televisiva. E nel modo in cui la televisione raccontava il paese e i suoi mille campanili. Un racconto pubblico, dunque.
A cui stavolta si è aggiunto un racconto privato, che ho avuto il piacere di contribuire a realizzare insieme ad Annacarla Valeriano, che come me fa parte dell'Archivio audiovisivo della memoria abruzzese, diretto e coordinato da Guido Crainz.
L'Archivio è una struttura dell'università di Teramo. Dal 2004 raccoglie i film di famiglia in diversi formati, dal Pathé Baby al 16 millimetri, dall'8 millimetri al super8. Li riversa in formato digitale, li studia e li utilizza per realizzare dei documentari o dei video-saggi. Se volete saperne di più, andate qui e qui.
Anche Rai Storia ha spesso utilizzato quel patrimonio di film di famiglia che la tv pubblica aveva accumulato nel corso degli anni, almeno a partire da una lontana trasmissione condotta da Francesco Guccini: la rete, poi, aveva realizzato una serie di brevi filler intitolati "come eravamo", che ricostruivano piccole vicende familiari intersecandole con il "racconto" pubblico degli eventi e dei dati significativi delle trasformazioni sociali ed economiche del paese.
Insomma, l'incontro era - si può dire - nelle cose.
E così, quando si è trattato di realizzare un "viaggio in Abruzzo", la Rai ha chiesto la collaborazione dell'Archivio.
Abbiamo ragionato insieme sui materiali più utili per raccontare la regione, o almeno alcuni suoi aspetti, cercando di trovare il punto di intersezione tra storia pubblica e storie private.
Che sarà quello che vedrete, a partire da lunedì sera.
Poi, se ne avrete voglia, passate da queste parti: cercherò di farvi trovare un breve commento, giorno per giorno, a ciò che è andato in onda la sera prima.

le parole, le figure e le recensioni

Ogni tanto appare una nuova recensione a "Le parole e le figure".
Questa l'ha scritta Paolo Di Vincenzo, a lungo giornalista de "Il Centro" per cui si è occupato delle pagine culturali. Oggi cura un sito che si chiama ArteAbruzzo e scrive thriller storici (andate a vedere qui se siete curiosi), oltre a tenere un laboratorio di giornalismo culturale all'università di Teramo.

Inizia così:
Conoscere La storia è fondamentale per capire il presente e per immaginare il futuro. Benvenuti, dunque, sono tutti quei testi che permettono di approfondire il passato anche in un campo, quello dei mass media, che sembra tutto modernissimo. Utilissimo per tutti, studiosi, studenti, semplici fruitori (come alla fine lo sono tutti) dei mass media di oggi il saggio di Andrea Sangiovanni "Le parole e le figure" (Donzelli, 344 pagine, 22 euro) il cui sottotitolo è maggiormente esplicativo: "Storia dei media in Italia dall’età liberale alla seconda guerra mondiale".

Se volete leggerla tutta, fate un salto qui.

ancora una volta, a salutar l'albero del maggio

Come già nel 2010 e nel 2011, ecco un altro post sul Primo Maggio.
Stavolta il titolo che ho scelto rimanda ad una antica tradizione, che mostra la contiguità tra le feste popolari per l'arrivo della primavera e la festa del lavoro e dei lavoratori: proprio in questi giorni è uscito un libro di Gianluca Vagnarelli (L'albero del primo maggio. Memoria e simbolismo politico di un rito laico) che ne racconta la storia nel Piceno dove l'albero del maggio

è anzitutto espressione del movimento contadino che si va lentamente organizzando e per il quale questo simbolo assume il duplice significato di occasione di festa e di sfida nei confronti dell’autorità politica e padronale. [Ma] è anche espressione di quella tradizione laica che aveva la sua origine nei culti rivoluzionati inaugurati in Francia a partire dal 1789 che incontrarono, sin dalla loro nascita, una strenua opposizione da parte della chiesa cattolica. 
(le parole sono tratte dall'introduzione) 
Se voleste sapere qualcosina di più sulle origini e sulla storia del Primo Maggio, potreste ascoltare oggi Wikiradio, il bel programma di Radio Tre che va in onda dalle 14 alle 14.30. Mi hanno chiesto una puntata su questo tema e ho cercato di raccontarlo nello spirito della trasmissione, una sorta di snella enciclopedia radiofonica che consenta agli ascoltatori di farsi un'idea su un argomento, suggerendogli, allo stesso tempo, qualche chiave interpretativa.
Naturalmente molte cose non ci sono entrate: e così, per esempio, non ho potuto parlare del primo maggio 1947
A parte l'inizio e la fine, sono immagini tratte dal film di Francesco Rosi, Salvatore Giuliano (1962), che raccontano con rigore e in uno splendido bianco e nero lo svolgersi degli eventi. 
Sulla loro interpretazione, invece, ci sono pareri discordanti. E seguirli avrebbe significato raccontare un'altra storia, lontana da quella del Primo Maggio.
Quello che mi premeva raccontare, invece, 
era l'incontro fra i due momenti che caratterizzano il primo maggio, la festa e la lotta: una doppia faccia che descrive bene la complessità e la ricchezza del lavoro.
Una ricchezza e una complessità che oggi bisognerebbe cercare di recuperare, a partire dalle domande sul senso identitario che il lavoro crea, o contribuisce a creare.

aggiornamento del 2 maggio
Se ve lo siete perso e volete sentirlo in podcast, fate clik qui 
 
Andrea Sangiovanni © Creative Commons 2010 | Plantilla Quo creada por Ciudad Blogger