il trionfo dell'uomo medio

La televisione sembra ciclica, una grande spirale che prima o poi ti riporta al punto di partenza.

Ieri si è conclusa l'ultima edizione del Grande Fratello, l'8°, la peggiore mai realizzata a quanto dicono (confesso: stavolta non sono riuscito a vedere nemmeno la parodia che ne fa la Gialappa's Band).
Il vincitore è Mario Ferretti, trentenne umbro, muratore, sposato e padre, che si autodefinisce ignorante e che ha dichiarato di voler usare la sua vincita per piantare il lavoro, aprirsi un agriturismo, aiutare qualcuno che ne ha bisogno e magnarsela pure un po'.
Fate un confronto mentale con le precedenti edizioni, pensate un po' agli altri concorrenti delle altre volte (e ad alcuni di questa volta): non erano uomini e donne, nonostante la finzione, erano creature televisive, palestrate, tatuate, sfarfalleggianti, griffate, contenitori apparentemente vuoti da riempire di qualcosa.
Questo, al confronto, è un uomo qualunque, medio.
E ha vinto.
E se vince la medietà, vinciamo un po' tutti noi. Non torna alla mente quanto scriveva Eco a proposito delle virtù di Mike Bongiorno, il mediocre (nel senso di "colui che sta nel mezzo", quindi medio) conduttore di Lascia o raddoppia?
La televisione che voleva imitare la vita (ricordate The Truman Show?), e che finiva invece per imitare se stessa, celebra la sua nuova star nell'uomo comune.
Un altro giro della spirale è concluso. Da domani si ricomincia.

p.s.
Ne ha parlato anche Gianluca Nicoletti a Melog.
Se non conoscete la trasmissione è il caso di recuperarla, anche in podcast: l'analisi che Nicoletti fa giornalmente del mondo televisivo, ma non solo (ultimamente si è allargato agli universi virtuali), sono sempre argute, spesso ricche di spunti che meriterebbero ampi approfondimenti.
Se qualcuno vuol farmi sapere che cosa ne pensa, mi trova sempre (vabbé, sempre...) qui.

guerre mediatiche

David Barstow ha pubblicato un articolo sul New York Times, oggi ripreso da Repubblica, in cui afferma che il pentagono ha preparato l'opinione pubblica alla guerra in Iraq usando degli esperti militari, con proficui rapporti con i contractors. Esisterebbe dunque
un rapporto simbiotico nel quale le corrette linee di demarcazione tra governo e giornalismo sono state eliminate.
L'idea alla base di questo gigantesco orientamento dell'opinione pubblica è che
in una cultura mediatica satura di persuasioni occulte, l'opinione pubblica è influenzata dalla voce di chi viene percepito come figura autorevole e indipendente.

Così, ancora prima dell'11 settembre, erano state individuate persone autorevoli e in procinto di andare in pensione (quindi indipendenti) che avrebbero potuto, se opportunamente addestrate, sostenere le tesi dell'amministrazione centrale, la necessità di un attacco all'Iraq.

Ancora una volta viene confermata la tesi che la guerra in Iraq è stata avallata dall'opinione pubblica grazie ad una gigantesca operazione di costruzione del nemico.
Ancora una volta il sistema mediatico si dimostra fragile e manipolabile.
La buona notizia è che gli anticorpi a queste manipolazioni sono all'interno dello stesso sistema mediatico, quand'esso è intimamente democratico.
 
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