Il ritorno di Cipputi

Che sia tornato sulla prima pagina odierna di Repubblica è un caso, o forse non troppo.

Naturalmente la battuta - icastica come sempre - si riferisce a Pomigliano D'Arco:
- Non abbiamo alternativa, Cippa.
- Come si dice in polacco?

Però il titolo di questo post si riferisce ad un breve ciclo di film sul lavoro che abbiamo presentato alla Casa della Memoria e della Storia di Roma e che finisce oggi.
 Dico "abbiamo" parlando a nome dell'Irsifar, di cui sono socio (oltre che membro del direttivo), e che mi ha chiesto di introdurre il ciclo, due giorni fa. Dalle discussioni comuni, fra l'altro, era uscito il programma del breve ciclo.
Nel presentare i film - ho detto - mi sono venute in mente le cronache di questi giorni a Pomigliano d'Arco perché hanno caricato il percorso delineato dal ciclo di un'attualità che non era prevista. E poi ho continuato:
In tre giorni, affiancando film di finzione e documentari, cercheremo di ripercorrere la vicenda del lavoro operaio, provando a tenere insieme storie collettive e individuali. Cominciamo oggi, 15 giugno, con un film in costume, I compagni, girato da Mario Monicelli nel 1963 e ambientato nella Torino delle filande di fine Ottocento: è un film che rimanda ai complessi processi che muovono alla formazione delle classe operaia, così come complessa è la vicenda - individuale stavolta, ma tutta inserita nella storia collettiva, del documentario che seguirà, Pino Furlan torna a casa di Alberto Poli.
 

Nei prossimi giorni daremo un'occhiata ad altri momenti di storia del lavoro e dei lavoratori, ad altri momenti di profonda trasformazione (come erano quelli della nascita della classe operaia), gli anni in cui l'idea di una "centralità" degli operai e del lavoro operaio vengono messi in crisi dai cambiamenti del mondo della produzione, che si legano a trasformazioni più profonde e forse, fino ad allora, inavvertite o trascurate, trasformazioni che attengono anche alla sfera individuale ed esistenzale. Il film che ci condurrà in questo percorso è SignorinaEffe di Wilma Labate, che si riflette nel documentario che è alla sua base, Signorina Fiat di Giovanna Boursier.


Il 17, infine, guarderemo al mondo post-industriale, quello in cui i lavoratori dell'industria sembrano essere scomparsi, sul piano sociale e dell'immaginario collettivo se non su quello della produzione. Il film sarà Risorse Umane di Laurent Cantet.

Le cronache di questi giorni a Pomigliano D'Arco, a me sembrano legate, paradossalmente, più a I compagni che non agli altri due: il contratto su cui c'è stata una nuova spaccatura sindacale e che verrà votato dal referendum operaio è, certo, un accordo che fa cadere i veli della globalizzazione (ed in questo senso è molto vicino a noi, e ai film più recenti): dalla crisi economica del 2007 infatti - ha scritto Luciano Gallino -"politici, industriali, analisti non hanno più remore nel dire che il problema non è quello di far salire i salari e le condizioni di lavoro nei paesi emergenti: sono i nostri che debbono, s'intende per senso di responsabilità, discendere al loro livello" (La Repubblica, 14-6-2010).
Ecco allora che vengono rimessi in discussione diritti che si pensavano acquisiti, diritti la cui lenta - e dolorosa - conquista viene raccontata da Monicelli ne I Compagni. Il film fu presentato in anteprima al congresso socialista che sanciva l'adesione ufficiale del partito al centrosinistra dove, però, non fu molto apprezzato. Anche la critica lo maltrattò abbastanza: ad esempio Luigi Chiarini non lo volle alla mostra del cinema di Venezia perché - diceva - l'argomento era troppo serio per essere trattato in chiave comica. Proprio questo aspetto, la comicità, così denigrato dai critici, era usato, allo stesso tempo, per attirare spettatori nei cinema: il manifesto prometteva "si ride in piemontese".
Monicelli fu sferzante con i giudizi dei critici, commentandoli con un'alzata di spalle ("mi hanno rimproverato di parlare della lotta di classe del pasato per non parlare di quella di oggi... mah!"), e sottolineò invece che il film viveva del clima che si respirava a Torino nel '62, con il risveglio della Fiat. Un critico però, Gian Maria Gugllielmino che scriveva su La Gazzetta del Popolo, fece giustizia del film svelando l'inganno legato alla promessa di una risata facile: "perché ingannare la gente? - scriveva - (...) in quanto a 'ridere', in quanto alla possibilità di interpretare I compagni anche parzialmente ameno e divertente, non è il caso di parlarne".
E concludeva la sua recensione dicendo: "...quale bel film, in definitiva, che possiamo accettare, ammirare e amare, nella sua luce malinconica e nella sua umana verità, nella sua quasi rassegnata e pietosa, ma comunque sensibilissima contemplazione di un dolore antico, anche se a noi, personalmente, la sola rievocazione (...) di quella condizione bestiale cui erano condannate persone umane, quell'ignobile sfruttamento sul quale pure si fondano e si continuano privilegi e dinastie tuttore sopravviventi avrebbero acceso più indignazione".
Forse però non era il momento per quel film più indignato, ma forse anche più facile e schematico, che invocava il critico: solo allora, infatti, la classe operaia si stava risvegliando, in un generale silenzio. Quando poi il film sarebbe stato trasmesso in televisione, negli anni Settanta, sarebbe stato molto più apprezzato di quanto non fosse stato nelle sale: ma allora si viveva ancora l'onda lunga delle lotte operaie del 1969-73.
Chissà che effetto farà rivederlo oggi
concludevo.
Vi confesso che rivederlo mi ha fatto un bell'effetto.

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Andrea Sangiovanni © Creative Commons 2010 | Plantilla Quo creada por Ciudad Blogger