Ci sarà tempo per parlare a lungo della sua grandezza, dell'influenza che ha avuto su un'intera generazione di disegnatori, sulla sua capacità di innovare profondamente il linguaggio e la struttura narrativa del fumetto, fin quasi a farla scomparire.
Ci sarà tempo per parlare di Moebius, simbolo dell'infinita potenza della grafica e del segno, spazio libero e senza fine all'interno dei confini di uno spazio chiuso, nel suo caso una vignetta, come l'anello da cui prende il nome. E di Jean Giraud, che aveva scelto questo pseudonimo per dare piena espressione a quello che aveva nella testa e per uscire dalle costrizioni del suo mestiere di disegnatore di fumetti.
Per ora, c'è solo questo suo disegno.
Addio, Jean.
la leva del 12
Un nuovo anno accademico, un vecchio corso, una nuova classe. Questa settimana è iniziato il Laboratorio di comunicazione multimediale che condivido con Gabriele D'Autilia (qui ci sono tutte le informazioni) e, come prima cosa, abbiamo deciso di provare a conoscere un po' meglio i nostri studenti.Così
ho approntato un breve (e un po' rozzo) questionario, che ho sottoposto
loro. Ne è uscito uno spaccato interessante della dieta mediale dei
ragazzi italiani intorno ai vent'anni, che in qualche caso conferma il
panorama italiano che ci consegnano ogni anno i rapporti sui media degli
istituti specializzati.
Per esempio, la lettura di libri (oltre a quelli di studio) non sembra essere molto diffusa.
Benché il 77,8% dichiari di leggere libri che esulano dallo studio più della metà legge pochissimo, quasi per nulla.
La situazione non sembra essere diversa con i quotidiani: quasi l'80% dichiara di leggerne
ma se si va a guardare la frequenza, torniamo a rientrare nel quadro delle statistiche nazionali. Interessante il fatto che coloro che affermano di leggere i quotidiani saltuariamente, affermano anche di leggerli solo su internet.
La cosa che mi ha colpito di più, però, è il rapporto con il cinema
poco meno della metà afferma di non andare al cinema, o di andarci raramente: però tutti o quasi guardano quasi esclusivamente film in televisione e li scaricano da internet (si direbbe quasi compulsivamente), avendo così praticamente ucciso il mercato dei dvd (il numero di chi li affitta è bassissimo).
E con internet, come la mettiamo?
Tra gli strumenti tecnologici in possesso del mio campione (del tutto casuale e per nulla esaustivo o rappresentativo), il computer è diffusissimo,
anche se è battuto di gran lunga dagli smartphone che sembrano essere il vero device per la navigazione, in particolare nei social network.
Infatti quello che mi ha sorpreso è il rapporto (passivo?) con internet: i risultati di una domanda in questo senso sono stati questi
pochissimi hanno un blog (la linea più in basso), mentre un numero molto più alto ha dichiarato di avere o gestire un sito (la linea centrale). Una incongruenza che si spiega con il programma di studi, perché è una classe che, in linea di massima, ha già sostenuto l'esame di informatica.
Il dato più significativo, ovviamente, è che la quasi totalità frequenta i social network, e che, appunto, lo fa con lo smartphone. Usi creativi? In linea di massima sembra di no, ci si limita ai rapporti sociali; ma sono diversi coloro che affermano di usarlo per informarsi. Un aspetto interessante, che occorrerà approfondire per capire come si conciclia con la scarsa lettura dei quotidiani e con lo scarso interesse mostrato per le news in televisione.
Insomma, le premesse per un corso interessante e divertente - dal punto di vista didattico - ci sono tutte: vedremo che cosa succederà nei prossimi mesi.
Per esempio, la lettura di libri (oltre a quelli di studio) non sembra essere molto diffusa.
Benché il 77,8% dichiari di leggere libri che esulano dallo studio più della metà legge pochissimo, quasi per nulla.
La situazione non sembra essere diversa con i quotidiani: quasi l'80% dichiara di leggerne
ma se si va a guardare la frequenza, torniamo a rientrare nel quadro delle statistiche nazionali. Interessante il fatto che coloro che affermano di leggere i quotidiani saltuariamente, affermano anche di leggerli solo su internet.
La cosa che mi ha colpito di più, però, è il rapporto con il cinema
poco meno della metà afferma di non andare al cinema, o di andarci raramente: però tutti o quasi guardano quasi esclusivamente film in televisione e li scaricano da internet (si direbbe quasi compulsivamente), avendo così praticamente ucciso il mercato dei dvd (il numero di chi li affitta è bassissimo).
E con internet, come la mettiamo?
Tra gli strumenti tecnologici in possesso del mio campione (del tutto casuale e per nulla esaustivo o rappresentativo), il computer è diffusissimo,
anche se è battuto di gran lunga dagli smartphone che sembrano essere il vero device per la navigazione, in particolare nei social network.
Infatti quello che mi ha sorpreso è il rapporto (passivo?) con internet: i risultati di una domanda in questo senso sono stati questi
pochissimi hanno un blog (la linea più in basso), mentre un numero molto più alto ha dichiarato di avere o gestire un sito (la linea centrale). Una incongruenza che si spiega con il programma di studi, perché è una classe che, in linea di massima, ha già sostenuto l'esame di informatica.
Il dato più significativo, ovviamente, è che la quasi totalità frequenta i social network, e che, appunto, lo fa con lo smartphone. Usi creativi? In linea di massima sembra di no, ci si limita ai rapporti sociali; ma sono diversi coloro che affermano di usarlo per informarsi. Un aspetto interessante, che occorrerà approfondire per capire come si conciclia con la scarsa lettura dei quotidiani e con lo scarso interesse mostrato per le news in televisione.
Insomma, le premesse per un corso interessante e divertente - dal punto di vista didattico - ci sono tutte: vedremo che cosa succederà nei prossimi mesi.
Lucio Dalla (1943-2012)
Per me Lucio Dalla è sempre stato questo.
Quando qualcuno che fa parte del tuo immaginario personale e di quello collettivo se ne va, non si può che pensarlo a partire dai ricordi personali.
E per me Dalla era un nastro che mio padre aveva registrato dalla radio e che ascoltava spesso, molto più spesso di quanto non ascoltasse altra musica. C'erano L'ultima luna, Anna e Marco, L'anno che verrà. Oggi so che tutte quelle canzoni facevano parte di uno stesso album che era uscito nel 1979. E immagino che quello fosse, più o meno, il periodo in cui lo ascoltavo.
L'ultima luna mi faceva un po' paura.
Anna e Marco mi piaceva, anche se parlava di cose che ancora non capivo. Ma quando sentivo che Marco ballava come un cavallo, qualcosa risuonava in me, una misteriosa sintonia con quell'inadeguatezza.
Delle tre, la canzone che preferivo era L'anno che verrà: perché mi sembrava una letterina semplice, spiritosa, sorridente. E mi piacevano i muti che possono parlare mentre i sordi già lo fanno. E mi piaceva anche che tutti, finalmente, avrebbero fatto l'amore, che non sapevo esattamente che cosa fosse ma doveva essere qualcosa di bello che ci si era scordati come si faceva.
Avevo circa dieci anni.
Poi, naturalmente, negli anni successivi Dalla continuai a scoprirlo, come tutti gli altri cantautori. E poi me ne dimenticai, preso da altre melodie.
Me ne dimenticai per modo di dire, in realtà, perché le canzoni che molto hai sentito e molto amato rimangono dentro di te, e stanno lì, riposte da qualche parte e pronte a venir fuori quando servono, quando un'emozione, una frase, una parola, un'armonia di qualche tipo risuona dentro di te ed entra in sintonia con quel ricordo sonoro.
Anni dopo, quando stavo facendo le ricerche per Tute blu, ho di nuovo incontrato Lucio Dalla. Un Dalla che non conoscevo, quel Dalla che cantava le parole di Roberto Roversi.
In quelle canzoni, in quelle parole, ho trovato un riflesso delle rappresentazioni degli operai che stavo studiando allora. La mia tesi era che i mondi operai, dopo il 1969, fossero entrati con forza nell'immaginario collettivo: in quelle canzoni trovavo una conferma a questa ipotesi di lavoro.
Ma ci trovavo anche altro, e più importante. C'era l'intuizione che quel mondo stava già finendo, che era entrato in una crisi irreversibile. Una trasformazione profonda che non riguardava solo l'operaio, ma tutto il mondo industriale nel quale si era formato.
L'auto è in crisi profonda
l'auto non ha futuro,
stecco di legno sull'onda...
cantava Dalla nel 1976 (Intervista con l'avvocato).
Ci siamo accorti che il nostro prodotto, l'automobile, non è più il metro del benessere
avevano detto alcuni operai intervistati dal Corriere della Sera nel 1974.
Erano canzoni che riuscivano a raccontare, in chiave poetica e musicale, una realtà in trasformazione.
Così come faranno, qualche anno dopo, quelle canzoni che ascoltavo da bambino e in cui ora trovavo con un significato nuovo. Erano storie che parlavano della fine di una stagione, cogliendone tutta l'ambiguità. Finalmente si poteva sperare di tornare a uscire fuori la sera, anche se c'era ancora chi metteva dei sacchi di sabbia davanti alle finestre: che trovavo - e trovo - uno splendido modo di raccontare la fine della stagione dei movimenti collettivi e l'inizio del riflusso. Sollievo e delusione, apertura e chiusura: tutto insieme.
C'è stata davvero una splendida età della nostra musica popolare, in cui i cantanti hanno saputo intercettare i cambiamenti profondi che agitavano la nostra società, e li hanno saputi raccontare trasformandoli in inni poetici.
Ciao a te e a me, povero sciocco.
...
Ciao vecchio amore mio
ciao al tuo pugno chiuso
tenero caprone
col pelo sul cuore mai mai deluso.
...
Io vado via, io vado via, io vado via
dove c'è ancora un posto per pensare
due o tre persone e metterci insieme
dove anche senza star bene
ridendo, piangendo, parlando
si può ricominciare.
(Ciao a te, 1981)
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gente che va
letture: "Eccetto Topolino"
A questo libro avevo accennato in un post di qualche tempo fa, ripromettendomi di tornare a parlarne in un futuro più o meno lontano. Questo tempo è arrivato ben prima di quanto pensassi.
Il libro s'intitola Eccetto Topolino. Lo scontro culturale tra Fascismo e Fumetti: gli autori sono Fabio Gadducci, Leonardo Gori (che - fra le altre cose - cura questo blog qui) e Sergio Lama. La casa editrice è la Nicola Pesce Editore, che ha realizzato un bel volumone di 431 pagine, ricco di illustrazioni e con la copertina brossurata. Un libro da scrivania, che è quasi difficile leggere tenendolo in mano, e che dà l'idea fisica della consistenza e della ricchezza dei suoi contenuti.
Lo scorso anno lo hanno presentato a Fahrenheit e se volete potete ascoltarvi qui il podcast.
Come dicevo, è senza dubbio un bel libro, veramente capace di portarci nel cuore di quello scontro fra il fascismo e l'industria culturale di cui illustra un aspetto particolare.
Per farla breve, è la storia della diffusione in Italia del fumetto, il racconto di come la comics craze investì gli anni centrali del fascismo: ma non c'è solo il Topolino che viene citato nel titolo, anzi. In effetti, all'origine di tutto ci fu L'Avventuroso, edito da Nerbini a partire dal 1934, la rivista che cambiò il modo di concepire il fumetto in Italia importando quegli eroi americani, Flash Gordon su tutti, che segnarono una generazione (volete saperne di più? andate qui).
L'eccetto Topolino del titolo si riferisce invece alla decisione del MinCulPop di vietare la diffusione delle storie a fumetti, tranne quelle di Disney, pubblicate in Italia da Mondadori. Il ministro Alfieri infatti imporrà agli editori la
Per raccontare questa vicenda gli autori tengono insieme diversi fili: dalla storia degli editori alla vicenda delle singole testate e, in parte, dei personaggi, degli scrittori e dei disegnatori, per ricondurre il tutto all'interno del più ampio profilo delle politiche culturali del fascismo.
Di molte di queste vicende - come ad esempio dell'arrivo di Topolino in Italia - si è spesso parlato più per sentito dire che in base ad una seria ricerca. Naturalmente ci sono state delle importanti eccezioni (e la ricca bibliografia ce lo ricorda in modo efficace), ma questa tendenza non ha faticato ad affermarsi, dimostrando così il modo in cui i fumetti vengono considerati anche fra chi si occupa di industria culturale.
Questo libro, dunque, ha il primo merito di mostrare con efficacia come si possa fare storia del fumetto, non limitandosi a fare una storia dei personaggi o delle testate, ma cercando di connettere questa storia specialistica e di nicchia con i più grandi processi che hanno interessato un periodo cruciale della nostra vicenda nazionale.
Il secondo merito è quello di utilizzare un archvio in gran parte inedito: la corrispondenza di Guglielmo Emanuel, allora agente del King Feature Syndacate, con i principali editori dei settimanali per ragazzi, Nerbini, Mondadori e Vecchi. Si apre in questo modo un significativo squarcio su un periodo della vita di questo intellettuale che era rimasto a lungo in ombra (non se ne parla, ad esempio, in questa voce del "dizionario biografico degli italiani"), e che contribuisce a delinearne meglio la figura.
Il terzo è quello di ridefinire la vicenda della nascita di una scuola italiana del fumetto, rinunciando - talvolta, sembra, a malincuore - all'acribia filologica del collezionista, per gettare uno sguardo più ampio su un settore dell'industria culturale che proprio in quegli anni forma un immaginario, visuale e di valori, che rimarrà a lungo radicato fra gli italiani.
Qui mi fermo con i meriti, anche se potrei continuare, per sottolineare invece un paio di cose che mi hanno lasciato perplesso: innanzitutto la scelta editoriale di accompagnare il testo con le riproduzioni dei documenti. Attenzione: non sto parlando dell'appendice documentaria o delle numerose illustrazioni, che invece sono molto utili per approfondire alcuni aspetti sottolineati nel testo come le "censure" sugli abiti o le ambientazioni, o le modifiche apportate ai testi per "italianizzare" le storie. Mi è venuto il dubbio che in questa scelta ci sia un lieve - come chiamarlo? - complesso d'inferiorità: come se si volesse dimostrare la "scientificità" dello studio. Invece si finisce per appesantire l'apparato grafico con materiali che non sono - per la loro stessa natura - ben leggibili (troppo piccoli, spesso) e che, comunque, vengono riportati nel testo principale con lunghe citazioni.
In secondo luogo, ogni tanto ho trovato la lettura un po' "faticosa", con troppo frequenti rimandi a ciò che doveva essere ancora detto: anticipazioni che, invece di chiarire, complicano solo il quadro.
Ma sono dettagli, in realtà, giusto per fare le pulci ad un lavoro che, come scrive Mimmo Franzinelli nell'introduzione, fa fare "un rilevante salto qualitativo" alla storia del fumetto e della cultura popolare in Italia.

Lo scorso anno lo hanno presentato a Fahrenheit e se volete potete ascoltarvi qui il podcast.
Come dicevo, è senza dubbio un bel libro, veramente capace di portarci nel cuore di quello scontro fra il fascismo e l'industria culturale di cui illustra un aspetto particolare.
Per farla breve, è la storia della diffusione in Italia del fumetto, il racconto di come la comics craze investì gli anni centrali del fascismo: ma non c'è solo il Topolino che viene citato nel titolo, anzi. In effetti, all'origine di tutto ci fu L'Avventuroso, edito da Nerbini a partire dal 1934, la rivista che cambiò il modo di concepire il fumetto in Italia importando quegli eroi americani, Flash Gordon su tutti, che segnarono una generazione (volete saperne di più? andate qui).
![]() |
La prima pagina de L'Avventuroso, uscita nelle edicole il 14 ottobre 1934 |
abolizione completa di tutto il materiale d'importazione straniera, facendo eccezione per le creazioni di Walt Disney, che si distaccano dalle altre per il loro valore artistico e per sostanziale moralità, e soppressione di quelle storie e illustrazioni che si ispirano alla produzione straniera. (la citazione è da p. 187)Siamo qui nel cuore dello scontro fra il fascismo ed i fumetti, un conflitto che viene generato da diversi fattori: innanzitutto il diffuso giudizio negativo sul fumetto da parte di pedagogisti e intellettuali di regime (ma magari ne riparliamo in un'altra occasione). E poi l'origine statunitense della maggior parte delle storie pubblicate in quegli anni: pur essendo storie di pura avventura, esse infatti finivano per mostrare una fitta trama di valori e quadri mentali in profondo contrasto con i principi sui quali il fascismo pensava di edificare il proprio "uomo nuovo". E' evidente come nel momento in cui la diffusione dei fumetti raggiunge quote notevoli (1.600.000 copie di settimanali diffusi, secondo alcuni), in corrispondenza con la nuova fase del regime legata alle guerre e al rapporto sempre più stretto con la Germania, una simile contrapposizione di modelli non sia più accettabile.
Per raccontare questa vicenda gli autori tengono insieme diversi fili: dalla storia degli editori alla vicenda delle singole testate e, in parte, dei personaggi, degli scrittori e dei disegnatori, per ricondurre il tutto all'interno del più ampio profilo delle politiche culturali del fascismo.
Di molte di queste vicende - come ad esempio dell'arrivo di Topolino in Italia - si è spesso parlato più per sentito dire che in base ad una seria ricerca. Naturalmente ci sono state delle importanti eccezioni (e la ricca bibliografia ce lo ricorda in modo efficace), ma questa tendenza non ha faticato ad affermarsi, dimostrando così il modo in cui i fumetti vengono considerati anche fra chi si occupa di industria culturale.
Questo libro, dunque, ha il primo merito di mostrare con efficacia come si possa fare storia del fumetto, non limitandosi a fare una storia dei personaggi o delle testate, ma cercando di connettere questa storia specialistica e di nicchia con i più grandi processi che hanno interessato un periodo cruciale della nostra vicenda nazionale.
Il secondo merito è quello di utilizzare un archvio in gran parte inedito: la corrispondenza di Guglielmo Emanuel, allora agente del King Feature Syndacate, con i principali editori dei settimanali per ragazzi, Nerbini, Mondadori e Vecchi. Si apre in questo modo un significativo squarcio su un periodo della vita di questo intellettuale che era rimasto a lungo in ombra (non se ne parla, ad esempio, in questa voce del "dizionario biografico degli italiani"), e che contribuisce a delinearne meglio la figura.
Il terzo è quello di ridefinire la vicenda della nascita di una scuola italiana del fumetto, rinunciando - talvolta, sembra, a malincuore - all'acribia filologica del collezionista, per gettare uno sguardo più ampio su un settore dell'industria culturale che proprio in quegli anni forma un immaginario, visuale e di valori, che rimarrà a lungo radicato fra gli italiani.
Qui mi fermo con i meriti, anche se potrei continuare, per sottolineare invece un paio di cose che mi hanno lasciato perplesso: innanzitutto la scelta editoriale di accompagnare il testo con le riproduzioni dei documenti. Attenzione: non sto parlando dell'appendice documentaria o delle numerose illustrazioni, che invece sono molto utili per approfondire alcuni aspetti sottolineati nel testo come le "censure" sugli abiti o le ambientazioni, o le modifiche apportate ai testi per "italianizzare" le storie. Mi è venuto il dubbio che in questa scelta ci sia un lieve - come chiamarlo? - complesso d'inferiorità: come se si volesse dimostrare la "scientificità" dello studio. Invece si finisce per appesantire l'apparato grafico con materiali che non sono - per la loro stessa natura - ben leggibili (troppo piccoli, spesso) e che, comunque, vengono riportati nel testo principale con lunghe citazioni.
In secondo luogo, ogni tanto ho trovato la lettura un po' "faticosa", con troppo frequenti rimandi a ciò che doveva essere ancora detto: anticipazioni che, invece di chiarire, complicano solo il quadro.
Ma sono dettagli, in realtà, giusto per fare le pulci ad un lavoro che, come scrive Mimmo Franzinelli nell'introduzione, fa fare "un rilevante salto qualitativo" alla storia del fumetto e della cultura popolare in Italia.
"Eccetto Topolino", un libro che piace anche ai gatti |
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presto, iscrivetevi!
Il valore di un'idea sta nel metterla in pratica.
(non ditelo troppo in giro, ma qualche volta ho il sospetto che formiamo dei buoni comunicatori)
Io ve la presento un po' in ritardo, ma forse non è un male, visto che l'emergenza neve l'ha spinta un po' in basso nelle news del sito di Ateneo. E invece è bene che la notizia si diffonda.
Di che si tratta, è presto detto.
La facoltà di Scienze della Comunicazione ha attivato una serie di laboratori e di workshop per gli studenti. Saranno corsi molto pratici in cui si impareranno - per dire - le principali tecniche di ripresa e gli elementi base del montaggio audiovisivo. Insomma quello che molti ci chiedevano, ormai da parecchio tempo.
I laboratori sono, per il momento, tre:
- riprese e montaggio audiovisivo
- fotografia
- audiovisivo per la musica e lo spettacolo dal vivo.
Poi ci sono sei workshop, da due o quattro crediti (relativi a stage e altre attività formative):
- suonare e comporre nell'era dei nuovi media
- ufficio stampa
- social media marketing & web innovation
- le variabili del successo per l'inserimento nel mondo del lavoro
- strategie per la costruzione e la gestione del consenso aziendale
- programmazione neurolinguistica
Poiché si tratta di insegnamenti pratici, il numero degli studenti che potranno frequentarli è limitato.
Quindi occorre iscriversi entro il 14 febbraio inviando una mail al manager didattico (managerdidatticoscom@unite.it) in cui si specifica quale laboratorio o workshop si vuole seguire.
E non è detto che tutti i corsi vengano attivati: c'è un rapporto costi/benefici che occorre rispettare. Se gli iscritti sono troppo pochi, evidentemente il corso non interessa e, dunque, non verrà attivato.
Insomma, nel suo piccolo una sfida. Per noi e per voi.
Siete pronti ad accettarla?
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la neve se ne frega (comunicazione di servizio)
Ormai è ufficiale. Le nevicate di questi ultimi giorni hanno costretto l'Università a chiudere le proprie sedi e a rinviare gli esami previsti per questa settimana.
Ecco i due comunicati pubblicati oggi sul sito di ateneo:
Ora, può essere che il titolo di questo post abbia fatto innervosire qualcuno. Che qualcuno abbia pensato che quel "se ne frega" fosse irrispettoso nei confronti di chi aveva tanto studiato e vedeva così modificati i suoi progetti.
E invece era solo una citazione del titolo di un libro di Luciano Ligabue, e di una sua versione a fumetti di Matteo Casali e Giuseppe Camuncoli (da cui è tratta la bella tavola qui a lato).
Vi confesso che non so di che parli quel libro, ma il suo titolo mi è sempre piaciuto. E non ho resistito alla tentazione di usarlo.
Ecco i due comunicati pubblicati oggi sul sito di ateneo:
Viste le condizioni della viabilità a causa delle eccezionali condizioni atmosferiche, gli esami e le lezioni previsti nella settimana dal 6 al 10 febbraio sono rinviati.e
Le date dei nuovi appelli verranno comunicate il prima possibile.
L'Ateneo, anche in considerazione delle ordinanze dei Sindaci dei comuni di Teramo, Avezzano, Atri, Giulianova e Mosciano S.A., nonché delle determinazioni dei Presidi di Facoltà, a causa del maltempo, comunica che:Naturalmente, appena sarà possibile, verrà data comunicazione delle nuove date.
- le attività didattiche e gli esami previsti dal 6 al 10 febbraio presso le Facoltà di Giurisprudenza, Medicina Veterinaria, Scienze della Comunicazione e Scienze Politiche ricadenti nei comuni di Teramo e Atri sono rinviati.
- La sede della Facoltà di Giurisprudenza ricadente nel comune di Avezzano è chiusa dal 7 all'11 febbraio.
- La sede della Facoltà di Scienze Politiche ricadente nel comune di Giulianova è chiusa il 7 e l'8 febbraio e le attività didattiche e gli esami previsti nei giorni 9 e 10 febbraio sono rinviati.
- La sede della Facoltà di Agraria ricadente nel comune di Mosciano S.A. è chiusa il 7 febbraio e le attività didattiche e gli esami nei giorni 8, 9 e 10 febbraio sono rinviati."
Ora, può essere che il titolo di questo post abbia fatto innervosire qualcuno. Che qualcuno abbia pensato che quel "se ne frega" fosse irrispettoso nei confronti di chi aveva tanto studiato e vedeva così modificati i suoi progetti.
E invece era solo una citazione del titolo di un libro di Luciano Ligabue, e di una sua versione a fumetti di Matteo Casali e Giuseppe Camuncoli (da cui è tratta la bella tavola qui a lato).
Vi confesso che non so di che parli quel libro, ma il suo titolo mi è sempre piaciuto. E non ho resistito alla tentazione di usarlo.
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di parole e di figure
E alla fine, mettendo insieme tutti i puntini (degli indizi disseminati nell'ultimo anno vi avevo già parlato qui), il disegno che esce fuori è questo
Ho avuto la sorpresa di trovare già qualcuno che ne parla in rete.
Non è niente di più della trascrizione di una scheda redazionale, ma intanto potete darci un'occhiata per farvi un'idea. Poi ne riparliamo.
Ho avuto la sorpresa di trovare già qualcuno che ne parla in rete.
Non è niente di più della trascrizione di una scheda redazionale, ma intanto potete darci un'occhiata per farvi un'idea. Poi ne riparliamo.
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