Ripartire in Panda?

La prima volta che l'ho visto, verso ora di cena, non ho nemmeno ben capito di che si trattava. Non subito perlomeno.
In un primo momento ho pensato che fosse una comunicazione istituzionale, studiata per ridare fiducia ad un paese spiaggiato, che cerca attonito di uscire dalle secche in cui è finito.
Ma no, mi sono detto, troppo distante dallo stile dell'attuale governo.
E poi ci sono tanti operai. Troppi, soprattutto per un paese con una produzione industriale così bassa come la nostra.
Poi è arrivato il marchio, la prima volta quasi casualmente. Poi una seconda: un'asserzione.
E allora è stato tutto - o quasi tutto - chiaro.
E' il nuovo spot della Fiat, e se non lo avete ancora visto ve lo metto qui sotto.

Avrei molte cose da dire su questo filmato, per esempio sulla coerenza fra le politiche industriali dell'azienda e la sua comunicazione. Ma non lo farò: altri l'hanno fatto e lo faranno.
Invece mi voglio soffermare su un aspetto più marginale, ma forse non meno significativo.
Quando l'ho visto, infatti, mi è subito venuto in mente un altro filmato promozionale che la Fiat aveva realizzato nel 1931 per il lancio della FIAT 522. Si chiama "Sotto i tuoi occhi" e non è attribuito, anche se sembra che dietro ci sia la mano di Mario Camerini. E' stato usato da Wilma Labate nella sequenza introduttiva di Signorina Effe (2007), ed è in questa versione che ve lo metto qui sotto.
Però, se volete vederlo nella sua versione originale andate qui , nel sito dell'archivio nazionale del cinema d'impresa.

Mi sembra che quello che accomuna due filmati così diversi sia la stessa idea della grandezza industriale, una grandeur che ha sempre caratterizzato la Fiat.
Allora, nel 1931, si mostrava al pubblico come nascesse "la più moderna delle autovetture", come dice l'attore ad una affascinata Isa Pola. Oggi si contrappone l'Italia "pittoresca" e quella dei "giovani che cercano un futuro" (a proposito, che facce sono secondo voi?  determinate o  disperate?) a quella "capace di grandi imprese industriali": ed ecco, non a caso, una veduta di stabilimenti Fiat.
Allora c'era il fascino delle grandi presse e della catena di montaggio. Oggi quello di una fabbrica robotizzata, pulita e quasi asettica, dove non sembrano esserci poi molte differenze tra gli operai e i tecnici specializzati.

Ma, a guardare bene, in questo passaggio c'è qualcosa che stride: "è il momento di ripartire", dice lo spot. Da dove? dalle macchine, viene da pensare guardando le immagini. Dalle braccia meccaniche che montano la vettura, e che sembrano contrapporsi alle prime braccia dello spot, quelle dell'artigiano che batte il ferro (altro che le grandi presse del 1931).
E la breve sequenza successiva, dove finalmente donne e uomini ci sono (ma anche qui, quanti stereotipi in quella figura di mamma/tecnico specializzato), non toglie la sensazione che quell'Italia industriale di cui si è parlato pochi secondi prima, non ci sia ormai più: è una sensazione che forse nasce dal fatto che siamo ormai alla fine dello spot, e che il marchio e l'oggetto da vendere occupano la scena. E così torniamo agli stereotipi: con quella città "tipicamente" italiana (direi Lucca, così a occhio) in cui si ferma la macchina sul claim finale. Quella è l'Italia che piace. Ma all'estero viene da pensare: negli Usa forse, dove attualmente (e credo che non cambierà in futuro) sono il cuore e la cassaforte dell'azienda. Un pensiero cattivo, forse. Ma quando poi scopri che lo spot è praticamente identico a quello della Grand Cherokee Chrysler non puoi che dare ragione a quanto scrivono sul Fatto quotidiano Dino Amenduni e Giovanna Cosenza.

E  finire per sottolineare le contraddizioni fra la forma e le intenzioni di questo spot .

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Andrea Sangiovanni © Creative Commons 2010 | Plantilla Quo creada por Ciudad Blogger