buoni propositi per l'anno nuovo

Per inaugurare nel modo migliore il 2011 ho pensato di darvi un assaggio di quello a cui sto lavorando da tempo.
E visto che non c'è niente di meglio di un bell'indovinello per cominciare un nuovo anno vi sfido: il titolo - che non vi svelerò - ha a che vedere con la storia e le ragioni di questo blog.
Ma anche con la fotografia che vedete qui accanto. O almeno con una sua parte.

E tutto dovrebbe iniziare così:


« - (…) dopo tutto la terra è abbastanza grande.
- Lo era, una volta… - disse a mezza voce Phileas Fogg. (…)
- Come, una volta! La terra non è mica diventata più piccola, per caso?
- Senza dubbio – rispose Gauthier Ralph. – Sono d’accordo con Mr. Fogg. La terra è diventata più piccola, poiché adesso per percorrerla basta un decimo del tempo che era necessario cent’anni fa (…)
- Davvero divertente la vostra opinione, Mr. Ralph, così, secondo voi, la terra è diventata più piccola! Visto che oggi si fa il giro del mondo in tre mesi…
- Bastano ottanta giorni, - disse Phileas Fogg».
E così la sfida era stata lanciata: nel giro di poche pagine Phileas Fogg, un imperturbabile gentiluomo inglese, sarebbe partito, accompagnato dal suo servitore francese Passepartout, per un Giro del mondo in ottanta giorni e Jules Verne, il suo inventore, avrebbe pubblicato un altro libro di enorme successo[1].
L’anno in cui si svolge la storia è il 1872, lo stesso anno in cui lo scrittore la scrive: nel 1873 il racconto sarebbe stato pubblicato in ben 108.000 copie, una tiratura notevole per quegli anni. Poco più di un secolo dopo un acuto studioso avrebbe utilizzato l’intuizione che percorre tutto il racconto di Verne per descrivere il cambiamento del senso del tempo e dello spazio tra XIX e XX secolo[2]: grazie alle nuove tecnologie che si diffondono negli ultimi anni dell’800 le distanze sembrano farsi considerevolmente più brevi e il tempo sembra modificarsi, accorciandosi fino a poter addirittura scorrere all’indietro, come mostreranno ad un pubblico incredulo i primi cineasti.
Ma torniamo al racconto di Verne: il mondo si può percorrere in soli ottanta giorni, sostiene uno dei membri del club londinese in cui si svolge la scena, quando è entrato «in funzione il tratto Rothal-Allahabad, del Great Indian Peninsular Railway: - e aggiunge - ecco il calcolo pubblicato dal “Morning Chronicle”.
Da Londra a Suez per il Moncenisio e Brindisi, ferrovia e vapore 7 giorni
Da Suez a Bombay, vapore 13
Da Bombay a Calcutta, ferrovia 3
Da Calcutta a Hongkong (Cina), vapore 13
Da Hongkong a Yokohama (Giappone), vapore 6
Da Yokohama a San Francisco, vapore 22
Da San Francisco a New York, ferrovia 7
Da New York a Londra, vapore e ferrovia 9
Totale 80 giorni»[3].
Treni e navi a vapore sono i protagonisti assoluti di questa rivoluzione, ma ad essi, sembra suggerire Verne, devono essere aggiunti almeno i giornali, grazie ai quali la notizia della scommessa si propaga rapidamente: essa, scrive infatti, «si sparse dapprima nel Reform Club e produsse una vera emozione tra i soci di quell’onorevole circolo. Poi, tramite un reporter, l’emozione passò dal Club ai giornali, e dai giornali al pubblico di Londra e di tutto il Regno Unito»[4], coinvolgendo soprattutto le lettrici che erano rimaste colpite dal ritratto di Phileas Fogg pubblicato su un giornale illustrato. Del resto, anche fuori dalle pagine del romanzo era stata proprio la lettura di un giornale a suggerire a Verne la conclusione della storia[5]; e sarà proprio una giornalista, Nellie Bly, reporter del New York World di Joseph Pulitzer, a realizzare, alcuni anni più tardi, l’impresa immaginata dallo scrittore francese, battendo Phileas Fogg nell’impossibile sfida con un giro del mondo in 72 giorni[6].
L’intuito di Jules Verne coglie senza dubbio alcuni aspetti della comunicazione moderna che si sta affermando alla fine del XIX secolo, ma allo stesso tempo i suoi romanzi ci permettono di sottolineare le profonde differenze che le separano dalle forme della comunicazione che caratterizzeranno il secolo successivo: essi sono un crinale interessante da cui poter osservare, da un lato, il mondo di fine Ottocento e, dall’altro,  intuire gli sviluppi che il Novecento porterà con sé.(...)



[1] J. Verne, Il giro del mondo in ottanta giorni, Einaudi, Torino, 2007, p. 16, da cui traggo anche i dati di vendita
[2] Mi riferisco a S. Kern, Il tempo e lo spazio. La percezione del mondo tra Otto e Novecento, Il Mulino, Bologna 2007, pubblicato in originale nel 1983 e tradotto per la prima volta in italiano nel 1988
[3] J. Verne, Il giro del mondo…, cit., p. 16. Più che lo spazio, in realtà, è il tempo ad essere una vera ossessione per il protagonista del romanzo; la scena iniziale, ad esempio, ce lo descrive in attesa dell’ora in cui si sarebbe recato, come ogni giorno, al club: ««Phileas Fogg, seduto in poltrona, coi piedi ravvicinati come un soldato alla rivista, le mani appoggiate sulle ginocchia, il busto eretto, la testa alta, guardava il movimento delle sfere del pendolo, uno strumento complicato che indicava le ore, i minuti, i secondi, i giorni, la data del mese e dell’anno». Idem, p. 6
[4] Idem, p. 25. Lo scrittore torna sul modo in cui le notizie si propagano attraverso i giornali anche in altri racconti, come ad esempio I 500 milioni della Begum, in cui un trafiletto con un fatto di cronaca capitato a Brighton viene pubblicato per primo dal Daily Telegraph e poi, «dalla sera del 29 ottobre, (…), testualmente riprodotto dai giornali inglesi, rimbalzava per tutti i cantoni del Regno Unito. Era pubblicato in particolare sulla “Gazzetta di Hull”, dove compariva in cima alla seconda pagina di una copia di quel modesto giornale che il Mary Queen, brigantino carico di carbone, portò a Rotterdam il primo novembre. Immediatamente ritagliato dalle diligenti forbici del redattore capo, nonché segretario unico dell’Eco olandese e tradotto in quella lingua, il fatto di cronaca giunse, il 2 novembre, sulle ali del vapore, al Memoriale di Brema. Là indossò, senza cambiare corpo, un abito nuovo, e non tardò a farsi stampare in tedesco. (…) Divenuto dunque tedesco per diritto d’annessione, l’aneddoto arrivò alla redazione dell’imponente Gazzetta del Nord, che gli riservò un posto nella seconda colonna della terza pagina». Cfr. J. Verne, I 500 milioni della Begum, Hachette 2003, pp. 28-29
[5] In un’intervista realizzata nel 1893 lo scrittore ha raccontato: «…è successo che un giorno, in un caffè di Parigi, mentre leggevo sul “Siècle” che un uomo poteva fare il giro del mondo in ottanta giorni, mi è subito venuto in mente che potevo approfittare di una differenza di longitudine e far guadagnare o perdere al mio viaggiatore un giorno del suo viaggio. Avevo trovato il finale del romanzo». Cfr. R. Sherard, Il giro di una vita in J. Verne, Il giro del mondo…, cit., p. 263. L’originale, curata da D. Compère, fu pubblicato negli Stati Uniti in Mc Clure’s Magazine, vol. II, n. 2, gennaio 1894, con il titolo Jules Verne at home. His own account of his life and work
[6] Per il resoconto del viaggio, che si svolse tra il  14 novembre 1889 e il 25 gennaio 1890, vedi N. Bly, Il giro del mondo in settantadue giorni, Mursia, Milano 2007


Continua (fra qualche mese)

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