funghi



Le web tv spuntano come funghi: se digitate la parola su google avete 21.100.000 risultati. 21.100.000 funghi, non tutti commestibili, alcuni insipidi, altri velenosi.
Anche la stampa cartacea si è accorta del fenomeno, soprattutto perché se ne è appropriata la politica: si conferma una delle "maledizioni" (vabbé: caratteristiche) della televisione italiana, quella di diventare oggetto di discussione solo se è legata alla politica.
In poco tempo sono nate Youdem tv, la net-tv del Partito Democratico, e PdCI TV, quella del Partito dei Comunisti Italiani. Se Aldo Grasso, commentando la prima, aveva parlato di un impatto visivo "bulgaro" è stato solo perché non aveva ancora potuto vedere l'editoriale di presentazione della seconda.

D'altra parte anche in Parla con me, il programma della Dandini diventata recentemente striscia serale, si prendono in giro la povertà e l'improvvisazione di Youdem.
Ma non mi sembra questo il punto centrale della questione.
Il fatto è che satellite e internet stanno cambiando il modo di fare televisione, dalla selezione dei contenuti alla presenza in video. La parola chiave sembra essere "orizzontale" al posto di "verticale", una tv che parte dal basso, dai propri utenti che orientano i contenuti. Una tv "democratica", cioè trasparente, in cui gli utenti controllano e decidono, ben più di quanto possano fare con il telecomando. E' l'idea di un "uomo interconnesso", di cui parla il video qui sotto, e che si richiama ai profeti del web come luogo della democrazia diretta (o più semplicemente di blogger fortunati come Grillo).

E' anche l'idea che sta alla base di Current tv, anche se in quel caso la professionalità è molto maggiore e, soprattutto, mi sembra che ci sia uno "stile" editoriale apparentemente semplice e immediato ma che, in realtà, è molto costruito: provate voi a farvelo in casa un servizio come quelli di current e poi ne riparliamo.
E a proposito di "stile": non so a voi, ma a me questo video ricorda un incrocio fra il Minoli di Mixer e i trailer di Maccio Capatonda. Un segno dell'ibridazione della net-tv?

C'è un altro punto della questione, più legato alla "mission" di queste due neo-net-tv: entrambe sembrano voler usare il web per aggirare i costi sempre crescenti della carta stampata e la disabitudine degli italiani alla lettura . Mi sembra di capire che l'obiettivo sarebbe quello di comunicare, più che le strategie dei rispettivi partiti, le visioni del mondo di quella porzione di società che si riconosce nei referenti politici. Bene, ma quante possibilità ci sono che queste tv siano viste da un pubblico più ampio della "base" dei rispettivi partiti (come si diceva una volta)?
Youdem sembra agevolata dal fatto di essere presente pure su un canale satellitare, anche se questo produce uno strano cortocircuito fra lo standard qualitativo delle tv satellitari e il linguaggio più caratteristico del web. E però l'antesignana tv delle libertà, la prima ad andare sul satellite, si è rivelata un flop ed ha dovuto chiudere.
Per il momento stanno lì, e l'attuale fase di tensione sociale sembra essere, dal punto di vista dei rispettivi editori, la migliore situazione possibile in cui muoversi: vedremo se siamo davvero davanti ad un nuovo linguaggio mediatico oppure se si tratta di un adattamento di vecchie strategie di propaganda.

consigli per la lettura: "La Tv per sport"


Chi sapeva che il primo evento sportivo trasmesso dalla televisione italiana fu un incontro di boxe alzi la mano. Era andato in onda nel settembre 1949, nell'ambito delle prove di trasmissione da Torino e il cronista, oltre che responsabile delle attività giornalistiche, era stato Carlo Bacarelli, che così lo racconta:
Dedicammo alla boxe le prime immagini di sport. Non esistevano telecamere mobili, così allestimmo un ring nello studio C: e lì si affrontarono i pugili della scuderia di Preciso Merlo (che, alla fine degli anni Trenta, fu campione europeo dei mediomassimi). Ospitammo anche alcuni incontri di lotta libera, pesi mediomassimi: sfide tra un certo Arbore (pugliese dalla pancia enorme che combatteva con una fascia tricolore e si dichiarava campione italiano) e Fusero (piemontese dal dialetto stretto che diceva d'essere lui il campione).
E' una delle molte curiosità che si possono trovare nel libro di Pino Frisoli, La Tv per sport, edito da Tracce (2007), una lettura agile, ricchissima di informazioni e aneddoti, che ricostruisce i rapporti fra televisione e sport, con una certa preferenza per lo sport che - oggi - è il più televisivo di tutti, il calcio.
Il libro è costruito per capitoli molto brevi che vanno dagli "anni del bianco e nero" (titolo della prima parte) alla pay tv, passando per il contrastato approdo al colore e alla lotta Berlusconi/Rai combattuta senza esclusione di colpi sin dai tempi del mundialito. Costruito essenzialmente su fonti giornalistiche, il libro è una veloce ma ricca cronaca del modo in cui lo sport è diventato una delle colonne portanti dello spettacolo televisivo, che non potrà che piacere agli sportivi televisivi.

Le mani su Palermo


Ieri sera solo il 7.24% degli spettatori era sintonizzato su Rai Tre. Mentre la maggior parte del pubblico italiano si divideva tra "I migliori anni" e un film con Jim Carrey, una dura e bella docufiction, Le mani su Palermo, mostrava come funziona la mafia, in particolare quella del boss Lo Piccolo, attraverso i documenti originali della polizia di Stato.

L'impianto è assolutamente originale, e sfrutta al meglio la capacità narrativa della televisione: un incrocio tra documenti e fiction, girata peraltro benissimo, consente allo spettatore di entrare nel sistema di potere di Cosa Nostra permettendogli appena di avvicinarsi a capire quanto esso sia pervasivo e fondato sulla "normalità". Una normalità agghiacciante: strangolare un uomo - dice un pentito - era una cosa normale, ci vogliono due minuti.
Forse il passaggio più inquietante era comunque il "viaggio" nello Zen, quartiere di Palermo che è come un pezzo di luna capitato sulla terra, una zona dove - come nella Gomorra cinematografica, a cui la ricostruzione visiva qualcosa, probabilmente, deve - vigono regole diverse rispetto al resto d'Italia.

Non è la prima volta che la Rai produce docufiction di questo calibro e, anche se Le mani su Palermo mi è sembrata meno forte delle precedenti, in particolare di Scacco al re, resta comunque una di quelle produzioni che mostrano la forza della televisione quando è ben fatta. Peccato che molti preferiscano distrarsi con le fiction crime d'oltreoceano (sempre ieri sera Csi: Miami è stata vista dal 13,02% degli spettatori) piuttosto che guardare alle crime stories di casa nostra: forse la differenza è solo in quella parolina, docu, che, pur seguita da fiction, desta una leggera inquietudine e impedisce di addormentarsi tranquilli.

p.s. la foto è di Letizia Battaglia

nuovi assetti

Nuovo governo e nuovi assetti in corso di sistemazione.
Di fronte alla necessità di fare un governo snello, con meno ministeri è stata presa la decisione di accorpare quello delle Comunicazioni al Ministero dello sviluppo economico: non c'è più un ministro ma solo un sottosegretario, Paolo Romani, uomo competente nel campo televisivo (che rivendica la quasi paternità della legge Gasparri).
Di fronte alla centralità delle comunicazioni, anche a fronte dell'importanza economica della banda larga o del wi-max, mi sembra che questa decisione possa lasciare perplessi. E il conflitto d'interessi? e la risistemazione della Rai di cui parlava il disegno di legge Gentiloni? Non credo che ne sentiremo parlare più.
Però oggi possiamo sentire le parole di Romani, intervistato da Klaus Davi, massmediologo. In tv? no, su internet, sul canale che lo stesso Davi ha creato su Youtube, Klauscondicio. Eccone un passaggio

C'è molto altro, e chi vuole può andare a vederlo qui.
Fra le altre cose si commenta una decisione della Rai di cui si discute molto in questi giorni e che dovrebbe diventare operativa dal prossimo autunno

il trasferimento di Primo Piano, l'approfondimento del tg3, in tarda serata: la striscia di seconda serata dovrebbe essere occupata da una versione ridotta di Parla con me di Serena Dandini.
Questo è quello che pensa il sottosegretario:


E la polemica, come si suol dire, divampa...
ci sarà molto da vedere e da commentare nei prossimi giorni. Voi che ne pensate?

scorie

Sono stato zitto quasi un mese. Non mi sembrava il caso di intervenire in un blog come questo durante la campagna elettorale, anche se ci sarebbero diverse riflessioni da fare sugli aspetti mediatici che le abbiamo visto prendere quest'anno. Forse farò qualche post su questo tema ora che i giochi sono fatti e che il clima è più disteso.
Però quello che ho appena visto sul sito del Corriere della Sera merita di essere condiviso.

Si tratta di uno spezzone di un programma della Gialappa's Band in cui si rivelano gli esordi di Michela Vittoria Brambilla, sottosegretario al Turismo e presidente dei Circoli della Libertà e della TV delle Libertà. Il neo-sottosegretario, come fanno notare i Gialappi, mostrava già allora una spiccata attenzione per il turismo e una notevole predisposizione per la televisione.
Certo, vedendo il programma non si può non fare ironia.
Però forse si può fare anche mente locale su quanto abbia significato la tv privata di marca Fininvest-Mediaset per questo paese. Una riflessione che forse sarà oggetto di un prossimo post. Per ora, gustatevi il filmati a questo link

il trionfo dell'uomo medio

La televisione sembra ciclica, una grande spirale che prima o poi ti riporta al punto di partenza.

Ieri si è conclusa l'ultima edizione del Grande Fratello, l'8°, la peggiore mai realizzata a quanto dicono (confesso: stavolta non sono riuscito a vedere nemmeno la parodia che ne fa la Gialappa's Band).
Il vincitore è Mario Ferretti, trentenne umbro, muratore, sposato e padre, che si autodefinisce ignorante e che ha dichiarato di voler usare la sua vincita per piantare il lavoro, aprirsi un agriturismo, aiutare qualcuno che ne ha bisogno e magnarsela pure un po'.
Fate un confronto mentale con le precedenti edizioni, pensate un po' agli altri concorrenti delle altre volte (e ad alcuni di questa volta): non erano uomini e donne, nonostante la finzione, erano creature televisive, palestrate, tatuate, sfarfalleggianti, griffate, contenitori apparentemente vuoti da riempire di qualcosa.
Questo, al confronto, è un uomo qualunque, medio.
E ha vinto.
E se vince la medietà, vinciamo un po' tutti noi. Non torna alla mente quanto scriveva Eco a proposito delle virtù di Mike Bongiorno, il mediocre (nel senso di "colui che sta nel mezzo", quindi medio) conduttore di Lascia o raddoppia?
La televisione che voleva imitare la vita (ricordate The Truman Show?), e che finiva invece per imitare se stessa, celebra la sua nuova star nell'uomo comune.
Un altro giro della spirale è concluso. Da domani si ricomincia.

p.s.
Ne ha parlato anche Gianluca Nicoletti a Melog.
Se non conoscete la trasmissione è il caso di recuperarla, anche in podcast: l'analisi che Nicoletti fa giornalmente del mondo televisivo, ma non solo (ultimamente si è allargato agli universi virtuali), sono sempre argute, spesso ricche di spunti che meriterebbero ampi approfondimenti.
Se qualcuno vuol farmi sapere che cosa ne pensa, mi trova sempre (vabbé, sempre...) qui.

guerre mediatiche

David Barstow ha pubblicato un articolo sul New York Times, oggi ripreso da Repubblica, in cui afferma che il pentagono ha preparato l'opinione pubblica alla guerra in Iraq usando degli esperti militari, con proficui rapporti con i contractors. Esisterebbe dunque
un rapporto simbiotico nel quale le corrette linee di demarcazione tra governo e giornalismo sono state eliminate.
L'idea alla base di questo gigantesco orientamento dell'opinione pubblica è che
in una cultura mediatica satura di persuasioni occulte, l'opinione pubblica è influenzata dalla voce di chi viene percepito come figura autorevole e indipendente.

Così, ancora prima dell'11 settembre, erano state individuate persone autorevoli e in procinto di andare in pensione (quindi indipendenti) che avrebbero potuto, se opportunamente addestrate, sostenere le tesi dell'amministrazione centrale, la necessità di un attacco all'Iraq.

Ancora una volta viene confermata la tesi che la guerra in Iraq è stata avallata dall'opinione pubblica grazie ad una gigantesca operazione di costruzione del nemico.
Ancora una volta il sistema mediatico si dimostra fragile e manipolabile.
La buona notizia è che gli anticorpi a queste manipolazioni sono all'interno dello stesso sistema mediatico, quand'esso è intimamente democratico.
 
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