il lenzuolo bianco

Finora non ho parlato del delitto di Avetrana, per quanto ci sarebbe stato molto da dire. Non sul delitto, ma sul modo in cui è stato raccontato, a cominciare dalla sera in cui Chi l'ha visto? ha dato ad una  madre la notizia della morte della figlia. In diretta. 
Ne avevo solo accennato, parlando di altro, e non ho certo intenzione di cominciare adesso.
Anzi, dirò di più: non ho avuto il coraggio - o il cattivo gusto? - di andare a rivedere la famosa puntata di Chi l'ha visto?. E, in linea di massima, cerco di filtrare le notizie/non notizie su quanto sta succedendo da quelle parti: i cronisti appostati davanti al cancello della casa del delitto, che si dividono il poco spazio con i "turisti" in cerca di una macabra emozione, non mi appassionano.
E anche adesso che ne parlerò, in realtà non parlerò di quel fatto delittuoso ma di una lezione di giornalismo.
Ieri a ora di pranzo la televisione era accesa su un telegiornale nazionale. Ormai siamo abituati a digerire notizie, anche le più orribili, insieme al primo. Ma ieri ho dovuto smettere di mangiare, perché il telegiornale ci ha fatto sentire parte della confessione dell'omicida.  
Poi il condutore ha annunciato - con malcelato orgoglio - che di lì a pochi minuti l'intera registrazione sarebbe stata disponibile sul sito.
E io ho smesso di mangiare: una cosa così non la puoi digerire.

Oggi per fortuna Mario Calabresi, direttore de La Stampa, ci ha dato una grande lezione di giornalismo, invocando il diritto al lenzuolo bianco, quel lenzuolo che da sempre una invisibile mano pietosa stende sui cadaveri in mezzo alla strada.
Il suo articolo lo potete leggere qui: fatene tesoro perché chiarisce una volta per sempre chi è e che cosa fa un giornalista. 
Per tutto il resto, quello che ormai troppo spesso vediamo e ascoltiamo, dovremo trovare un altro nome.

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Andrea Sangiovanni © Creative Commons 2010 | Plantilla Quo creada por Ciudad Blogger