la televisione, la realtà o la realtà televisiva

Qualche tempo fa ho deciso di dare un'occhiata ad un film che non pensavo mi sarebbe piaciuto ma che immaginavo mi sarebbe potuto essere utile in qualche modo.
Si trattava di questo.



Effettivamente il film non è un granché (so che in questo modo sto scatenando la pulsione critica dei miei pochi lettori: volete massacrare il film? accomodatevi pure).
Ma, come in tutte le situazioni, qualcosa di buono può sempre derivarne.
E infatti, qualche giorno dopo, vengo a conoscenza del fatto che in Francia andrà in onda uno show che sembra ispirato allo stesso concetto del film: ci vuole un'idea forte per attirare il pubblico. Bene, eccola: torturiamo in diretta i partecipanti ad un game show!
Sto parlando di La Zone Xtrême, andato in onda su France 2.
Volete vederne un po'?





In realtà la cosa è un po' più complicata di come appare.
Lo show è falso e serve per la realizzazione di un documentario, Le Jeu de la mort, che riproduce un esperimento di psicologia sociale degli anni Sessanta condotto da Stanley Milgram (qui ne trovate una descrizione).
La messa in onda del documentario, realizzato da Christophe Nick, scatena le reazioni della stampa francese (fatevene un'idea qui e qui, ma soprattutto qui dove trovate molte interessanti interviste) in particolare sul fatto che ben l'80% dei partecipanti non ha esitato ad infliggere ai "torturati" (in realtà degli attori che non subivano alcun danno) delle scosse molto potenti.
Certo, questo è un dato che fa riflettere.
Ma secondo me c'è qualcosa di ben più interessante.
All'inizio della registrazione della puntata, il pubblico in sala non era consapevole di trovarsi di fronte ad una messa in scena; pensava cioè che i giocatori ricevessero veramente delle scosse elettriche ogni volta che non erano in grado di rispondere alle domande. Mostravano disagio, ma nessuno è intervenuto per cercare di fermare il gioco.
In un secondo momento, però, la produzione ha informato il pubblico che tutto quello che stavano vedendo era costruito, e che dunque nessuno si stava facendo male. La reazione? Non disinteresse, come gli autori avevano temuto, ma, anzi, maggiore partecipazione. Se nessuno si era posto dei dubbi (possiamo dirlo?) sulla moralità del gioco a cui stavano assistendo prima, non lo faceva nemmeno ora. E, anzi, sembrava partecipare con maggiore interesse.
È come se la costruzione di una realtà televisiva avesse infranto la consuetudinaria griglia di valori su cui è modellata la società; come se lo spazio televisivo fosse diventato uno spazio altro con regole sue, indipendenti da quelle della società che si dice rifletta.
Ed è qualcosa che dà da pensare.

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Andrea Sangiovanni © Creative Commons 2010 | Plantilla Quo creada por Ciudad Blogger