Ieri sera La7 ha mandato in onda il film di Sidney Lumet Network, intitolato in italiano Quinto potere (1976), che, candidato a nove oscar, ne vinse quattro, per la sceneggiatura e per tre attori (fra cui la Dunaway e Peter Finch). Il film è stato preceduto da uno Speciale 8emezzo intitolato TV, va in onda il futuro: un titolo ben curioso considerato che il film racconta un'altra era della televisione e che sul suo futuro nessuno dei presenti in studio (fra cui Carlo Freccero e Giorgio Gori) hanno detto poi molto. Anzi, a dir la verità, il dibattito, pur animato dalle provocazioni e dalla vena istrionica di Freccero, è stato abbastanza fiacco: è a lui che si sono dovute le migliori osservazioni, come quella relativa al passaggio da una tv forte - quella raccontata dal film di Lumet e caratterizzata da un pubblico ampio ed indifferenziato e da una sorta di oligopolio dell'etere, diviso tra tre grandi reti, concorrenti eppure simili - ad una tv debole, quella che si fa oggi, tutti i giorni, con un pubblico sempre più specializzato, diviso in nicchie d'interessi, ed una enorme moltiplicazione di canali. In verità qualche lampo sul panorama attuale - e futuro - è venuto anche dagli interventi di Marco Montemagno, AD di Blogosfere, capace di portare sul piatto della discussione il ruolo di internet e la sua capacità di rimettere in discussione la stessa idea di pubblico.Comunque quello che mi interessa commentare è il film. Perché rivedendolo mi sono reso conto che, al di là dei pur numerosi difetti, ha il pregio di raccontare un passaggio di cambiamento della televisione: la follia del conduttore Beal avrà infatti una conseguenza inattesa, il passaggio del controllo del telegiornale dal direttore dei servizi informativi alla responsabile dei programmi di intrattenimento. Mi sembra che in questo passaggio di secondo piano della trama si nasconda quella profonda trasformazione che in Italia inizierà ad arrivare negli anni '80 per poi diventare un punto centrale del nostro panorama televisivo dagli anni '90. È semplicemente la logica della televisione commerciale, quella che viene descritta con questo cambiamento di direzione: ciò che importa è l'audience, e per suo tramite gli investimenti pubblicitari.
Ed ecco, in questi due brevi passaggi, il senso di questa trasformazione del medium televisivo.
E, come ha notato sorniona Vladimir Luxuria nello speciale ottoemezzo, Grillo non ha inventato niente. Salvo il fatto, gli ha suggerito di rimando Freccero, che Grillo non parla dalla tv ma dalle piazze. E non è una differenza da poco.
Allora Beal è un anchorman sull'orlo della follia?
Beh, non secondo il network che trasforma in questo modo il telegiornale
Prima trascinatore di share, ad un certo punto Beal inizia a perdere colpi. E quello che aveva promesso all'inizio, togliersi la vita in diretta, accadrà davvero, anche se non nel modo in cui pensa lui. E gli ascolti si impenneranno ancora un volta.
È la tv bellezza, e tu non puoi farci proprio niente... si potrebbe dire parafrasando un altro famoso film.

Marica Tolomelli, Sfera pubblica e comunicazioni di massa, Archetipolibri, Bologna 2006
