I sogni (e gli incubi) di Francesco P.

Che cosa rimane dell'Aquila dopo quattro anni e mezzo dal terremoto? 
Che cosa rimane per chi, sin dai primi mesi, l'ha raccontata con una videocamera?
Francesco Paolucci è tornato a raccontarci quello che si muove nel fondo del suo cuore, il suo cuore privato, intimo, ma anche quello pubblico, sociale: la sua città. E ora, dopo averci colpito e commosso con il diario di un terremutato, dopo averci fatto ridere - e pensare - con i suoi dice che, ci - e si - chiede: e se fosse stato tutto un sogno?





 

Ho incrociato la strada di Francesco a Teramo, quando era studente di Scienze della Comunicazione. 
Poi l'ho ritrovato come studente nel master di giornalismo, affascinato dalle tecniche e dal linguaggio del reportage giornalistico con una chiara preferenza per lo stile di Iacona. 
Poi l'ho seguito raccontare L'Aquila e il terremoto del 2009 attraverso i suoi video, contemporaneamente dall'interno e dall'esterno: seguendo le storie che si svolgevano nel cratere, e svelando le ambiguità della comunicazione mainstream, da una parte; e raccontandoci i moti del suo animo, dall'altro, inseguendo progetti personali, forse capaci di mostrare con ancora maggiore efficacia quello che stava succedendo.
Ora è giornalista e videomaker: segue sempre i suoi sogni e i suoi fantasmi personali, e ancora una volta ci sa raccontare quello che sta succedendo. E che oggi mi sembra che sia quell'impalpabile sfarinamento della voglia di resistere e di combattere che si accompagna al desiderio di normalità.
 

Una volta, in un intervento a Radiofrequenza, la radio dell'Università di Teramo - se non ricordo male per il primo anniversario del terremoto - mi disse che nei suoi primi video usava la videocamera come un diaframma fra il suo cuore e il mondo, quasi per non avvertire anche sulla pelle quello sgomento, quel dolore e quella rabbia che sentiva nel cuore. Questa commistione fra racconto privato e sguardo oggettivo - capace di rifrangere anche gli altri sguardi pubblici sul terremoto - era la forza dei suoi racconti.
 

Col passare dei mesi il Francesco che si nascondeva dietro l'obiettivo ha avuto la forza, e il coraggio, di uscire e mostrarsi.
E quelli che oggi possono sembrare veli, l'ironia che caratterizzò i "dice che" e ora il mood cinematografico che si respira nel suo ultimo racconto, mi sembra che siano solo una parte del suo modo di essere. Potrà sembrare contraddittorio, ma proprio ora che Francesco usa la finzione per raccontare quello che succede mi pare che si mostri senza schermi: e sia capace, allo stesso tempo, di percepire e raccontare un sentimento diffuso, pur senza arrendersi ad esso.
 

Perché, nonostante tutto, L'Aquila c'è ancora:
"ha presente?"
"sì..." 

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Andrea Sangiovanni © Creative Commons 2010 | Plantilla Quo creada por Ciudad Blogger