Amerei dimenticare...

Amerei dimenticare aveva scritto qualcuno su un muro di Bologna nel 1977, e accanto aveva disegnato il simbolo della falce e del martello, il simbolo del Pci che per molti, allora,  era anche il simbolo del lavoro.
Di lavoro, mondi operai e sindacato nel 1977 parlerò la prossima settimana in un convegno che si terrà al Senato, il 18 e 19 marzo. Ha per titolo Italia 1977, ambivalenze di una modernità e qui trovate il programma e tutte le informazioni.
Scritta su un muro a Cologno Monzese (1978)
Il mio intervento prende le mosse proprio da quella frase, amerei dimenticare, perché mi è sembrata estremamente simbolica di molte delle caratteristiche del Settantasette. Di alcune, quelle legate al cambiamento dell'idea di lavoro, alle crisi sotterranee del sindacato, allo scontro frontale fra Partito Comunista e movimento giovanile, parlerò nel mio intervento.
C'è qualcosa però che non riuscirò a dire giovedì, e che pure mi si è affacciata alla mente tornando a studiare quell'anno: amerei dimenticare, infatti, è una frase che mi pare rappresenti bene, da un lato, il "rifiuto della storia" da parte del movimento giovanile ("non abbiamo né passato né futuro: la storia ci uccide" era scritto sui muri di Roma) ; e, dall'altro, il "rifiuto del '77" di chi aveva fatto politica fino ad allora (e in particolare, mi sembra, della generazione del '68) e che allora vide chiudersi le residue prospettive di agibilità politica.
Sarà forse anche per l'esistenza di questo doppio rifiuto incrociato che il '77 si è collocato in una strana dimensione della nostra memoria collettiva, letto spesso nelle sue opposte polarità (creatività contro dottrinarismo oppure pacifismo contro terrorismo, per dirne solo due) che ne hanno schiacciato e deformato la complessità. E sarà forse per questo, ancora, che continua a suscitare interesse nelle generazioni più giovani di studiosi, che immagino insoddisfatti da questa narrazione polarizzata.
Allora, forse, è arrivato il momento di andare oltre quella sorta di profezia che si autodetermina che si può leggere proprio in un libro pubblicato nel 1977, poco tempo dopo il marzo bolognese (Bologna 1977... fatti nostri):
non esisterà uno storico, non tollereremo che esista uno storico, che assolvendo una funzione maggiore del linguaggio, offrendo i suoi servizi alla lingua del potere, ricostruisca i fatti, innestandosi sul nostro silenzio, silenzio ininterrotto, interminabile, rabbiosamente estraneo
E, chissà?, speriamo che il convegno della prossima settimana possa essere una buona occasione per iniziare.
In ogni caso, amerei dimenticare, racconta anche della implicita contraddittorietà del '77: che cosa voleva dimenticare quell'anonimo scrivente?
Secondo chi ha riportato la frase, il membro di un gruppo di lavoratori precari intervistato nel 1980 sul significato del Settantasette, essa indicava il rapporto conflittuale con il lavoro che aveva caratterizzato quell'anno.
Ma il fatto che accanto alla scritta fossero stati disegnati falce e martello poteva forse significare la volontà di scordarsi del Pci bolognese, aspramente criticato dal movimento per la gestione della crisi del marzo.
Oppure, ancora, la frase potrebbe essere stata scritta da qualcuno che, firmandosi con falce e martello, e quindi rivendicando la propria identità di partito, avrebbe voluto dimenticare quel duro scontro generazionale che aveva opposto il Pci, non solo bolognese, al movimento giovanile.

Tanti punti di vista, tanti conflitti, nei cui rapporti - in fondo -  c'è ancora tanto da indagare.
Giovedì prossimo, salendo sulle spalle di chi ci ha provato prima di noi, speriamo di cominciare a farlo. 

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Andrea Sangiovanni © Creative Commons 2010 | Plantilla Quo creada por Ciudad Blogger