una carriola di disegni: una cronaca oggettiva/soggettiva

Questo post non l'ho scritto io.
Però mi ha fatto piacere riceverlo e lo pubblico.

Di che si tratta: mercoledì scorso, 18 aprile, c'è stata all'università una tavola rotonda a conclusione dell'esposizione della mostra Una carriola di disegni. Hanno partecipato urban sketchers e fotografi, e abbiamo cercato di far emergere quella tensione sotterranea che passa tra due differenti forme di rappresentazione della città de L'Aquila, i disegni e le fotografie.
Disegno di Carlo Castellani dal blog una carriola di disegni
Devo ammettere che non c'erano moltissimi studenti (ma quelli che erano lì li ringrazio tutti, uno per uno). Non ne sono molto stupito: un po' ci ho fatto l'abitudine, anche se la scarsa partecipazione ad incontri che vorrebbero suscitare momenti di riflessione fuori dal quotidiano percorso di lezioni mi lascia sempre un retrogusto amaro di disillusione.

Invece mi ha stupito quello che sto per riportare qui sotto.
Sono le parole di una studentessa che ha partecipato all'incontro (e che nei giorni precedenti lo aveva promosso intensamente su facebook). Me le ha mandate in forma di articolo: una sorta di cronaca oggettiva che però non riesce a dissimulare le forti emozioni che la tavola rotonda le ha procurato.

Dopo averle chiesto il permesso, lo pubblico qui. Perché questo spazio è nato proprio per creare uno scambio tra i membri di quella che dovrebbe essere una comunità di studiosi con un diverso grado di formazione.
E perché queste parole sono per me come una sorsata d'acqua fresca che sciacqua via quel sapore un po' amaro.

Una carriola, così.


L’Aquila è come mia nonna malata, con mille cicatrici, intubata: pronta a resistere e lottare per quella vita non ancora perduta.
E’ stata questa una delle immagini più forti e indicative emerse mercoledì 18, in un incontro svolto dalle 10.30 in poi, nella sala conferenze della Facoltà di Scienze della Comunicazione, presso l’Università degli Studi di Teramo. Un appuntamento che il professor Andrea Sangiovanni organizza da tre anni, nei giorni vicini al 6 aprile, per ricordare le 309 vittime delle 3.32.
Una carriola di disegni. Titolo pragmatico: libero come l’atto creativo di un disegnatore seduto sulle macerie, che lascia andare il proprio tratto, per ridar forma a una città che ha ancora necessità di respirare.
L’iniziativa instaura le sue basi nei giorni precedenti, in un piccolo e modesto allestimento che attraversa i corridoi della facoltà, prende per mano gli studenti, li accompagna in un ragionamento sull’uso del disegno, in un dialogo aperto con la fotografia, e affronta, in modo concreto, il suo viaggio, in quel cortocircuito di idee avuto nella tavola rotonda di mercoledì.
E’ stata una rete condivisa, quella vissuta, aperta a un proficuo scambio tra gli urban sketcher Marco Preziosi e Carlo Castellani; i fotografi Daniele Cinciripini e Roberto Grillo; quest’ultimo, poi, aquilano.
Raffaella Morselli, Gabriele D’Autilia, Andrea Sangiovanni - relativi storici dell’arte di fotografia e medium contemporanei -, invece, hanno alimentato il dibattito in una comparazione tra abilità antiche e tecnologicamente riprodotte.
La forza dirompente dei messaggi e il valore dei contenuti espressi non hanno ceduto a una provocazione volutamente politica, giusta ma vecchia, retorica, fuori dalla nuova fase storica che stiamo vivendo, non più necessaria, soprattutto allo spessore intellettuale raggiunto fino a quel momento, in quella sede, parlando di ricostruzione.
Movimento, memoria, tragedia, etica, estetica, dolore, tempo e spazio: senso. Hic et nunc, tempo puro, rovina, nonluogo, hic jacet, riscoperta. Walter Benjamin, Marc Augé, Robert Pogue Harrison, Marcel Duchamp. Filosofia, antropologia, etnografia, letteratura, storia, arte. Una scala ridotta di strumenti acquisiti frequentando un corso in comunicazione. Sostanze base, lanciate quel giorno, essenziali come ingredienti per una formula chimica che si sta miscelando, e che presto, ci auguriamo, diventi composto forte e robusto, indispensabile per L’Aquila.
Eravamo lì, seduti, per capire di più.
Ora siamo in attesa di appendere quel quadro, fotografico o pittorico, vicino a una finestra aperta, per scorgere l’orizzonte, con quella voglia insistente di osservare una città, abitata.
Amalia Temperini

 

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