Quadretti di storia

Qualche tempo fa è stato ripubblicato da Q press un vecchio fascicolo elettorale a fumetti, edito originariamente nel 1975 dal Partito Socialista Italiano e - come ci informa una nota redazionale nel colophon - "distribuito gratuitamente in 600.000 copie durante la competizione elettorale, principalmente nelle regioni bianche".
Un pezzo della storia della comunicazione politica, ma non solo.
Anche un (piccolo) pezzo della storia del fumetto italiano, visto che era stato scritto da Alfredo Castelli e disegnato da un giovane e ancora sconosciuto Milo Manara, che, da lì a pochi anni, avrebbe affilato il suo tratto ancora acerbo in HP e Giuseppe Bergman. Alla realizzazione parteciparono altri nomi illustri del fumetto patrio, da Mario Gomboli alle sorelle Giussani fino a Mario Uggeri, che ne realizzò la copertina. Se non sapete di chi sto parlando, seguite i link.
Ma Un fascio di bombe, questo il titolo, è anche un (piccolo) pezzo di storia italiana perché racconta attraverso la forma narrativa fumetto la nascita della strategia della tensione. Ed è dunque giusto parlarne oggi, giorno in cui si ricordano le vittime dei terrorismi.
Perché anche i fumetti possono fare storia: sono uno strumento per raccontarla e sono una fonte di storia, che possono talvolta illuminare aspetti non secondari dell'immaginario collettivo di una certa epoca.

Prima o poi parleremo di un altro volume che sto leggendo in questi giorni, Eia Eia Baccalà, raccolta delle storie che Jacovitti ha scritto e disegnato nell'immediato dopoguerra. Ma questo, appunto, un'altra volta.

Torniamo al fascio di bombe: cosa ci dice del 1975? Ci dice che l'aria stava cambiando: l'avanzata delle sinistre comincia allora, in quelle elezioni regionali, per poi diventare consistente nelle elezioni politiche del '76. E ci dice anche che cambiano gli elettori: per la prima volta votano i diciottenni, cosa che spiega l'uso di questa insolita forma di propaganda elettorale.
E poi ci dice che molte cose ancora non si sapevano: l'ultima parte, dove il dialogo cede il passo alla didascalia e la narrazione alla propaganda elettorale, è piena di informazioni e interpretazioni che oggi appaiono inevitabilmente datate, quando non sbagliate o fuorvianti. Ma proprio questi passaggi ci consentono di immergerci nell'interpretazione "di sinistra" della strategia della tensione diffusa nel 1975, quando le Brigate Rosse erano ancora "sedicenti" e la "storia sbagliata" di Piazza Fontana era letta come un complotto. E dunque come una trama perfetta per una storia d'avventure e spionaggio, come ci dimostra Castelli in alcune pagine di grande maestria che, con un montaggio parallelo ricco di suspence, ci portano fino a quel fatidico pomeriggio del 12 dicembre 1969.

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