Qualche aggiunta a "una breve storia del pugno chiuso"

Qualche giorno fa Il Post (se non sapete cos'è, leggete prima wikipedia e poi andate a vedervi la home page di oggi) aveva pubblicato una "breve storia del pugno chiuso" a commento delle polemiche (spicciole e anche un po' ridicole) che avevano seguito la vittoria di Bersani alle primarie del Pd, quando sul palco si erano visti alzarsi alcuni pugni chiusi in segno di felicità (ne volete un assaggio? date un'occhiata qui e qui).

Se non vi basta la "breve storia" del Post e, avendo tempo, pazienza e sufficiente curiosità, volete saperne qualcosa di più, forse vi interesserà leggere un estratto da un articolo sui gesti di opposizione che ho scritto qualche anno fa per un convegno e che ha finalmente visto la luce nel libro I gesti del potere (a cura di Marcello Fantoni, Cariti editrice, Firenze 2011) di cui potete ammirare qui a fianco la copertina.

 Buona lettura



Da Identità e protesta: i gesti del contropotere

Gustave Courbet

...negli anni Trenta si consolida e si diffonde un nuovo gesto di opposizione e protesta, perfetta antitesi al saluto fascista sia dal punto di vista formale che da quello dei significati, il saluto a pugno chiuso in cui, com’è stato notato, «convergono più significati: l’organizzazione di classe, la volontà indomita di resistenza, la minaccia ai nemici»[1]. Sebbene abbia anch’esso, probabilmente, un’origine classica[2], sembra la sua iconografia inizi a definirsi solo durante i giorni drammatici della Comune di Parigi: Gustave Courbet, ad esempio, ritrae in un quaderno di disegni la scena di una fucilazione in cui una donna con il berretto frigio sfida il plotone d’esecuzione levando in alto un pugno[3].
Tuttavia nei mesi e negli anni successivi al 1871 Courbet si dedicherà ad altri soggetti e questo schizzo non sarà molto diffuso; ben altra fortuna, anche simbolica, avranno invece alcuni lavori di Théophile-Alexander Steinlen il cui quadro La Commune. Louise Michel sur les barricades (1885) diventerà una delle poche immagini della rivoluzione[4]. Steinlen riprodurrà lo stesso soggetto, una donna con un seno scoperto che, in piedi sulle barricate, sventola una grande bandiera rossa, sulla prima pagina del periodico Chambarde socialiste del 26 maggio 1894, intitolandolo semplicemente Mai 1871 e firmandosi con lo pseudonimo “Petit Pierre”: oltre all’evidente richiamo alla “Libertà che guida il popolo” di Delacroix (1830), l’immagine ha particolare fortuna perché, com’è stato dimostrato, finisce per rinforzare alcuni miti strettamente legati alla storia della Comune come, ad esempio, quello dell’“ultima barricata”[5]. Benché sorregga la bandiera rossa, a cui tuttavia lo stile impressionistico del disegno riserva quasi il ruolo di uno sfondo, il gesto del pugno chiuso alzato si configura in queste immagini soprattutto come un movimento istintivo e naturale di rabbia, sfida o incitamento: è in questo modo, ad esempio, che Emilio Longoni lo usa nel quadro L’oratore dello sciopero del 1891. 
Steinlein, Dans la vie
E tuttavia una vignetta satirica ci mostra come il suo uso stesse lentamente cambiando all’inizio del ‘900; il disegno, ancora una volta di Steinlen, irride alla trasformazione dei rituali repubblicani francesi in feste popolari, dedicate più al divertimento che alla celebrazione della storia nazionale, ritraendo un elettore (questo il titolo del disegno) mentre marcia solitario nelle strade di Parigi in mezzo ai sorrisi di scherno degli spettatori, intonando la Marsigliese con il pugno destro alzato: la didascalia dice «Allons, enfant de la partie / le jour de boire est arrivé»[6]
bandiera delle Rotfrontkämpferbund
Nel lento costruirsi di un’iconografia legata al pugno chiuso, dunque, si sommano la riproduzione di un gesto spontaneo e “naturale” [7] con una tradizione simbolica legata alla lotta politica e sociale; ma probabilmente sarà solo la sua trasformazione in saluto militare a codificare definitivamente il saluto a pugno chiuso come gesto di lotta. In un primo tempo, tra il 1923 e il 1924, esso verrà usato in questo modo dalla Rotfrontkämpferbund, una organizzazione paramilitare del Partito Comunista Tedesco che, riproducendolo sulle bandiere, ne farà anche il proprio emblema[8]; ma, a metà degli anni Trenta, sarà la Repubblica spagnola a trasformare ufficialmente il pugno chiuso in saluto militare. Nell’ottobre del 1936, infatti, la Gazzetta Ufficiale del ministero della Difesa prescriverà che il saluto militare venga fatto alzando «il pugno chiuso all’altezza della visiera, quando non si portino armi, e se si è armati, il pugno chiuso con il braccio ad angolo retto»[9]
fotografia di Robert Capa
Tuttavia, secondo il diario di viaggio di un pittore svedese che sarebbe scomparso a Siviglia durante l’insurrezione militare, il gesto era già ampiamente diffuso come forma di saluto: «dappertutto nella gentile Spagna del sud, – scriveva infatti Torsten Jovinge – per le strade, dalle colline e dalle case, mi salutano con il pugno chiuso i mulattieri e gli aquaioli, le bambine che giocano accanto ai pozzi e quel bambino di un anno in braccio a suo padre»[10]. Dunque, quando Mirò nel 1937 realizza il famoso manifesto Aidez l’Espagne[11], che, pubblicato dai “Cahiers d’Art” in Francia sarebbe poi stato stampato in forma di cartolina per finanziare la lotta antifranchista, quel «pugno ingigantito con una forte deformazione espressiva, messo in primo piano quale motivo preminente di tutta l’immagine»[12] diventa il gesto iconico dell’antifascismo, appannando la sua origine militare a favore di un più ampio valore identitario che avrebbe mantenuto nei decenni successivi[13]
Mirò, Aidez l'Espagne
Il rapporto fra queste due differenti connotazioni del pugno chiuso non sarebbe stato esente da tensioni, come illustra bene un episodio del 1944: siamo in Italia nei mesi in cui, dopo l’ampliamento delle fila partigiane avvenuto durante l’estate, si avvia un processo di “istituzionalizzazione” della resistenza in cui si cerca di trasformare le formazioni partigiane in un vero e proprio “esercito”. In settembre la delegazione militare del Comando generale delle formazioni d’assalto “Garibaldi” decide di abolire il saluto a pugno chiuso, fino ad allora «tollerato», sostituendolo col saluto militare tradizionale, «la mano destra (dita unite e tese) a contatto col sopracciglio destro (lembo esterno), la palma in basso e facente linea unica coll’avambraccio inclinato in modo che il gomito risulti all’altezza della spalla»; in un comunicato del Comando unificato delle divisioni della Valsesia e dell’Ossola la decisione viene motivata col fatto che fino ad allora era mancata «una precisa codificazione della parte formale riguardante le formazioni garibaldine, settore non meno necessario perché: la disciplina è segno di ordine interno; la popolazione è favorevolmente influenzata da una condotta disciplinata e giudica soprattutto dai segni esteriori; l’unificazione di questi ultimi è indice sicuro che le “bande” sono ormai esercito»[14].   Come è evidente, quel pugno chiuso non racchiudeva solo un valore politico – che gli appartenenti alle formazioni Garibaldi, promosse dal Pci, non potevano che apprezzare – ma anche quel senso di “libertà” e di “ribellione” che i partigiani esprimevano con tutti gli strumenti che avevano a disposizione, dall’abbigliamento agli atteggiamenti alla stampa[15].
Giancarlo Buonfino, manifesto per Lotta Continua
In ogni caso, finita la guerra il saluto a pugno chiuso sarebbe entrato definitivamente nell’armamentario simbolico, visuale e gestuale di tutte le famiglie della sinistra italiana, anche se probabilmente con diverse sfumature di significato che si riflettevano nel cambiamento della postura del braccio[16]. Tuttavia questa adozione non si rispecchia nella grafica ufficiale del Pci che tende a privilegiare iconografie più tradizionali dove i pugni chiusi servono soprattutto a sostenere i simboli del partito, la bandiera rossa oppure la falce e il martello[17]; questa tradizione iconografica e simbolica verrà interrotta dal movimento studentesco del 1968 che, ispirandosi ai manifesti dell’Atelier Populaire della Sorbona, comincerà ad utilizzare nei propri volantini il pugno chiuso scegliendo «non la falce ed il martello dell’iconografia classica del movimento operaio, non la tradizione bolscevica e leninista, ma l’esperienza tragica ed esaltante della Comune, più “fraternitè” che “egalitè”, più fratellanza che solidarietà di classe»[18]. A partire da quell’anno tuttavia si può rintracciare un ulteriore, duplice e divergente percorso. Da una parte la “fratellanza”, il senso di unione e forza rappresentato dalle dita unite sembra essere scalzato dal pugno usato come simbolo di conflitto: il gesto viene cioè caricato di una violenza simbolica[19], sia dai gruppi della sinistra rivoluzionaria che dalla borghesia più conservatrice, sicuramente allarmata dalla ritmica scansione di slogan in cui la forte carica di violenza veniva rinforzata dai pugni mossi all’unisono[20]. Dall’altra, il gesto del pugno chiuso teso verso l’alto assume un significato più universale di protesta e rivolta: in una delle immagini simbolo del ’68 internazionale, la premiazione dei 200 metri maschili alle olimpiadi messicane, i due atleti statunitensi Smith e Carlos salutano la bandiera a capo chino e con il pugno, guantato di nero, alzato, l’uno distendendo il braccio destro, l’altro il sinistro[21]. In linea di massima, nei decenni successivi questa simbologia generale finirà per prevalere su quella strettamente politica, sganciando il pugno chiuso dalla ristretta cerchia delle immagini di partito. [...]


[1] Immagini nemiche. La guerra civile spagnola e le sue rappresentazioni, 1936-1939, Editrice compositori, Bologna 1999, pp. 422-423
[2] Secondo alcuni, il pugno chiuso deriverebbe da «un antico saluto dei gladiatori» che sarebbe stato ripreso alla fine del 1918 dagli spartachisti tedeschi. In questo gesto di saluto «le dita rappresentano le divisioni sempre presenti nel movimento operaio, che, una volta superate con la lotta, diventano un potente strumento come il pugno»: cfr. D. Spagnoli, Per una storia dei simboli comunisti, in “Il calendario del popolo”, n. 705, febbraio 2006, p. 29. Attualmente anche nell’estrema destra è diffuso un gesto di saluto che si vorrebbe ispirato ai gladiatori e che consiste nell’accostamento dell’avambraccio del salutante e del salutato e nella stretta reciproca al di sopra del polso
[3] Lo schizzo potrebbe risalire ai primi giorni di giugno, nel periodo immediatamente successivo al suo arresto: il carnet di disegni è conservato al Dipartimento di arti grafiche del Louvre: una riproduzione è consultabile on line nel catalogo joconde (www.culture.gouv.fr/documentation/joconde/fr/pres.htm) al numero d’inventario RF 29235,8
[4] Si veda la discussione sulla fortuna del quadro e sul suo ruolo nel propagandare una certa immagine della Comune in B. Tillier, La Commune de Paris. Révolution sans image? Politique et représentations dans la France républicaine (1871-1914), Champ Vallon 2004, in particolare pp. 15-16
[5] Cfr. Idem, pp. 457 ss,
[6] Il disegno è riprodotto in Dans la Vie (Paris, 1901), un libro di vignette di Steinlen tratte da Gil Blas Illustré, Chambard e Mirliton. Si veda in proposito, anche per la trasformazione delle feste, G. P. Weisberg, Montmartre and the making of mass culture, Rutger University Press 2001
[7] Anche per sostenere l’affermazione del saluto a mano tesa se ne esalterà la “naturalità”. Si legga ancora quanto scriveva Rudolf Hess: «di per sé il braccio sollevato con la mano distesa è il saluto più naturale. Basta osservare i bambini e gli adulti che salutano in fretta qualcuno che passa: la tipica reazione è il movimento sopra descritto», cfr. T. Allert, Heil Hitler…, cit. p. 58
[8] Si veda il veloce ma informato articolo di M. Danesi, Storia del pugno chiuso, saluto di lotta, in “Il calendario del popolo”, n. 727, febbraio 2008, pp. 52-53
[9] Il testo della Gazzetta è in A. Castells, Las Brigadas Internacionales de la guerra de España, Ariel, Barcelona, 1974, p. 91, citato a sua volta in G. Ranzato, L’eclissi della democrazia. La guerra civile spagnola e le sue origini 1931-1939, Bollati Boringhieri, Torino 2004, p. 365, nota 57
[10] G. Ranzato, L’eclissi della democrazia…, cit., p. 256
[11] Com’è noto, il disegno era accompagnato da un commento dello stesso Mirò: «Nella lotta attuale, io vedo dalla parte fascista le forze scadute della storia, dall’altra il popolo le cui immense risorse creative daranno alla Spagna un impeto che scuoterà il mondo»
[12] M. De Micheli, L’arte sotto le dittature, Feltrinelli, Milano 2000, p. 180
H. Ferrer, Madrid 1937 (1937)
[13] Si noti come lo stesso gesto mantenga ancora un doppio livello di lettura: si veda ad esempio l’opera di Horacio Ferrer, Madrid 1937 (Black Aeroplanes) (1937) in cui il pugno della donna che guarda verso il cielo è senz’altro un gesto di rabbia impotente, ma quello del bambino in primo piano potrebbe essere un simbolo di resistenza, come lascerebbe intendere il fatto di essere sulla diagonale del gesto della donna e di essere, dunque, ad esso collegato.
[14] Tutte le citazioni sono tratte dall’appunto dell’8 settembre 1944, conservato presso l’Istituto Storico della Resistenza di Novara, sez. 3, b. 1, f. I.1, e citato anche in A. Mignemi (a cura di), Storia fotografica della Resistenza, Bollati Boringhieri, Torino 1995, p. 36
[15] Per una veloce analisi della questione si rimanda a A. Ballone, La dimensione esistenziale nella banda partigiana, in “Rivista di Storia Contemporanea”, n. 4, a. XIX, ottobre 1990; per uno sguardo sintetico ma profondo sulla vicenda della resistenza si veda S. Peli, La Resistenza in Italia. Storia e critica, Einaudi, Torino, 2004
[16] Fino alla metà degli anni sessanta il saluto a pugno chiuso si fa col braccio destro piegato, mantenendo un richiamo alla sua origine militare. Esso tuttavia deve diventare sempre meno consapevole perché in occasione del funerale di Togliatti il braccio si distende «conferendo sacralità marziale al gesto»; anche nei cortei, inoltre, gli slogan sono sempre più spesso accompagnati dal pugno chiuso agitato ritmicamente: cfr. M. Danesi, Storia del pugno chiuso…, cit.
[17] Per una efficace esemplificazione si possono vedere le tessere del Pci: quella del 1945, disegnata da Renato Guttuso, reca in primo piano due pugni chiusi che sostengono una falce e un martello sullo sfondo di una bandiera rossa dispiegata; quelle del 1946, del 1948 e del 1950 mostrano mani che impugnano o la bandiera o la falce e il martello; l’ultima ad essere caratterizzata in questo modo sarà quella del 1959 che mostra tre mani, ciascuna delle quali sorregge uno dei tre oggetti simbolici. Cfr. E. Novelli, C’era una volta il Pci, Editori Riuniti, Roma 2000. Si veda anche, per uno sguardo veloce e generale sull’immagine del partito, A. Agosti, I militanti. L’album fotografico dei comunisti italiani, in G. De Luna, G. D’Autilia, L. Crescenti (a cura di), L’Italia del Novecento. Le fotografie e la storia, Vol. I, t. 2, Il potere da De Gasperi a Berlusconi (1945-2000), Einaudi, Torino 2005. È interessante notare come nella selezione di fotografie che accompagna il testo, tutte provenienti dall’archivio de “L’Unità”, le immagini dei militanti che salutano con il pugno chiuso siano quasi tutte degli anni Settanta
[18] G. De Luna, La politica sui muri, i manifesti del ’68, in L’arte per la strada. I manifesti del maggio francese, Giulio Bolaffi editore, Torino 2008,  p. 52. Naturalmente i manifesti italiani echeggiano la tradizione iconografica nazionale; come ha raccontato recentemente Piero Gilardi, l’anima di uno dei due atelier populaire torinesi, non ci si ispirava solo alla grafica parigina: «nella nostra testa, nella nostra mappa mentale, avevamo una serie di stili (…) [e] guardammo molto anche alla grafica popolare del movimento operaio, del movimento socialista, del movimento comunista italiano anteguerra, perché ce l’avevamo lì, a portata di mano, come memoria». Cfr. C’è bisogno di un manifesto. Piero Gilardi racconta, in Idem, p. 124
[19] Si vedano i due manifesti Natale: prega borghese e Il padrone morde: colpiamolo subito
[20] Sul tema si può vedere M. Isnenghi, L’Italia in piazza. I luoghi della vita pubblica dal 1848 ai giorni nostri, Mondadori, Milano, 1984
[21] Secondo la concisa ricostruzione di Danesi, Storia del pugno chiuso…, cit., anche l’uso del braccio sinistro al posto di quello destro nasce con l’appropriazione del saluto da parte degli studenti


[...continua in I gesti del potere]


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