Se non vi basta la "breve storia" del Post e, avendo tempo, pazienza e sufficiente curiosità, volete saperne qualcosa di più, forse vi interesserà leggere un estratto da un articolo sui gesti di opposizione che ho scritto qualche anno fa per un convegno e che ha finalmente visto la luce nel libro I gesti del potere (a cura di Marcello Fantoni, Cariti editrice, Firenze 2011) di cui potete ammirare qui a fianco la copertina.
Buona lettura
Da Identità e protesta: i gesti del contropotere
Gustave Courbet |
...negli anni Trenta si consolida e si diffonde un
nuovo gesto di opposizione e protesta, perfetta antitesi al saluto fascista sia
dal punto di vista formale che da quello dei significati, il saluto a pugno
chiuso in cui, com’è stato notato, «convergono più significati: l’organizzazione
di classe, la volontà indomita di resistenza, la minaccia ai nemici»[1].
Sebbene abbia anch’esso, probabilmente, un’origine classica[2],
sembra la sua iconografia inizi a definirsi solo durante i giorni drammatici
della Comune di Parigi: Gustave Courbet, ad esempio, ritrae in un quaderno di
disegni la scena di una fucilazione in cui una donna con il berretto frigio
sfida il plotone d’esecuzione levando in alto un pugno[3].
Tuttavia nei mesi e negli anni successivi al 1871 Courbet si dedicherà ad altri
soggetti e questo schizzo non sarà molto diffuso; ben altra fortuna, anche
simbolica, avranno invece alcuni lavori di Théophile-Alexander Steinlen il cui
quadro La Commune. Louise Michel sur les barricades (1885) diventerà una delle poche immagini della rivoluzione[4].
Steinlen riprodurrà lo stesso soggetto, una donna con un seno scoperto che, in
piedi sulle barricate, sventola una grande bandiera rossa, sulla prima pagina
del periodico Chambarde socialiste
del 26 maggio 1894, intitolandolo semplicemente Mai 1871 e firmandosi con lo pseudonimo “Petit Pierre”: oltre
all’evidente richiamo alla “Libertà che guida il popolo” di Delacroix (1830),
l’immagine ha particolare fortuna perché, com’è stato dimostrato, finisce per
rinforzare alcuni miti strettamente legati alla storia della Comune come, ad
esempio, quello dell’“ultima barricata”[5].
Benché sorregga la bandiera rossa, a cui tuttavia lo stile impressionistico del
disegno riserva quasi il ruolo di uno sfondo, il gesto del pugno chiuso alzato
si configura in queste immagini soprattutto come un movimento istintivo e
naturale di rabbia, sfida o incitamento: è in questo modo, ad esempio, che
Emilio Longoni lo usa nel quadro L’oratore dello sciopero del 1891.
Steinlein, Dans la vie |
E tuttavia una vignetta satirica ci mostra
come il suo uso stesse lentamente cambiando all’inizio del ‘900; il disegno,
ancora una volta di Steinlen, irride alla trasformazione dei rituali
repubblicani francesi in feste popolari, dedicate più al divertimento che alla
celebrazione della storia nazionale, ritraendo un elettore (questo il titolo
del disegno) mentre marcia solitario nelle strade di Parigi in mezzo ai sorrisi
di scherno degli spettatori, intonando la Marsigliese con il pugno destro
alzato: la didascalia dice «Allons, enfant de la partie / le jour de boire est arrivé»[6].
bandiera delle Rotfrontkämpferbund |
Nel lento costruirsi di un’iconografia legata al pugno chiuso, dunque, si
sommano la riproduzione di un gesto spontaneo e “naturale” [7]
con una tradizione simbolica legata alla lotta politica e sociale; ma
probabilmente sarà solo la sua trasformazione in saluto militare a codificare
definitivamente il saluto a pugno chiuso come gesto di lotta. In un primo
tempo, tra il 1923 e il 1924, esso verrà usato in questo modo dalla Rotfrontkämpferbund, una organizzazione paramilitare del Partito Comunista
Tedesco che, riproducendolo sulle bandiere, ne farà anche il proprio emblema[8]; ma, a metà degli anni Trenta, sarà la Repubblica spagnola a trasformare
ufficialmente il pugno chiuso in saluto militare. Nell’ottobre del 1936,
infatti, la Gazzetta Ufficiale del ministero della Difesa prescriverà che il
saluto militare venga fatto alzando «il pugno chiuso all’altezza della visiera,
quando non si portino armi, e se si è armati, il pugno chiuso con il braccio ad
angolo retto»[9].
fotografia di Robert Capa |
Tuttavia,
secondo il diario di viaggio di un pittore svedese che sarebbe scomparso a
Siviglia durante l’insurrezione militare, il gesto era già ampiamente diffuso
come forma di saluto: «dappertutto nella gentile Spagna del sud, – scriveva
infatti Torsten Jovinge – per le strade, dalle colline e dalle case, mi
salutano con il pugno chiuso i mulattieri e gli aquaioli, le bambine che
giocano accanto ai pozzi e quel bambino di un anno in braccio a suo padre»[10].
Dunque, quando Mirò nel 1937 realizza il famoso manifesto Aidez
l’Espagne[11], che, pubblicato dai “Cahiers d’Art” in Francia
sarebbe poi stato stampato in forma di cartolina per finanziare la lotta
antifranchista, quel «pugno ingigantito con una forte deformazione espressiva,
messo in primo piano quale motivo preminente di tutta l’immagine»[12]
diventa il gesto iconico dell’antifascismo, appannando la sua origine militare
a favore di un più ampio valore identitario che avrebbe mantenuto nei decenni successivi[13].
Mirò, Aidez l'Espagne |
Il rapporto fra queste due differenti connotazioni del pugno
chiuso non sarebbe stato esente da tensioni, come illustra bene un episodio del
1944: siamo in Italia nei mesi in cui, dopo l’ampliamento delle fila partigiane
avvenuto durante l’estate, si avvia un processo di “istituzionalizzazione”
della resistenza in cui si cerca di trasformare le formazioni partigiane in un
vero e proprio “esercito”. In settembre la delegazione militare del Comando
generale delle formazioni d’assalto “Garibaldi” decide di abolire il saluto a
pugno chiuso, fino ad allora «tollerato», sostituendolo col saluto militare
tradizionale, «la mano destra (dita unite e tese) a contatto col sopracciglio
destro (lembo esterno), la palma in basso e facente linea unica
coll’avambraccio inclinato in modo che il gomito risulti all’altezza della
spalla»; in un comunicato del Comando unificato delle divisioni della Valsesia
e dell’Ossola la decisione viene motivata col fatto che fino ad allora era
mancata «una precisa codificazione della parte formale riguardante le
formazioni garibaldine, settore non meno necessario perché: la disciplina è
segno di ordine interno; la popolazione è favorevolmente influenzata da una
condotta disciplinata e giudica soprattutto dai segni esteriori; l’unificazione
di questi ultimi è indice sicuro che le “bande” sono ormai esercito»[14]. Come è evidente, quel pugno
chiuso non racchiudeva solo un valore politico – che gli appartenenti alle
formazioni Garibaldi, promosse dal Pci, non potevano che apprezzare – ma anche
quel senso di “libertà” e di “ribellione” che i partigiani esprimevano con
tutti gli strumenti che avevano a disposizione, dall’abbigliamento agli
atteggiamenti alla stampa[15].
Giancarlo Buonfino, manifesto per Lotta Continua |
In ogni caso, finita la guerra il saluto a pugno chiuso
sarebbe entrato definitivamente nell’armamentario simbolico, visuale e gestuale
di tutte le famiglie della sinistra italiana, anche se probabilmente con
diverse sfumature di significato che si riflettevano nel cambiamento della
postura del braccio[16].
Tuttavia questa adozione non si rispecchia nella grafica ufficiale del Pci che
tende a privilegiare iconografie più tradizionali dove i pugni chiusi servono
soprattutto a sostenere i simboli del partito, la bandiera rossa oppure la
falce e il martello[17];
questa tradizione iconografica e simbolica verrà interrotta dal movimento
studentesco del 1968 che, ispirandosi ai manifesti dell’Atelier Populaire della Sorbona, comincerà ad utilizzare nei propri
volantini il pugno chiuso scegliendo «non la falce ed il martello
dell’iconografia classica del movimento operaio, non la tradizione bolscevica e
leninista, ma l’esperienza tragica ed esaltante della Comune, più “fraternitè”
che “egalitè”, più fratellanza che solidarietà di classe»[18].
A partire da quell’anno tuttavia si può rintracciare un ulteriore, duplice e
divergente percorso. Da una parte la “fratellanza”, il senso di unione e forza
rappresentato dalle dita unite sembra essere scalzato dal pugno usato come
simbolo di conflitto: il gesto viene cioè caricato di una violenza simbolica[19],
sia dai gruppi della sinistra rivoluzionaria che dalla borghesia più
conservatrice, sicuramente allarmata dalla ritmica scansione di slogan in cui
la forte carica di violenza veniva rinforzata dai pugni mossi all’unisono[20]. Dall’altra, il gesto del pugno chiuso teso verso l’alto assume un significato
più universale di protesta e rivolta: in una delle immagini simbolo del ’68
internazionale, la premiazione dei 200 metri maschili alle olimpiadi messicane,
i due atleti statunitensi Smith e Carlos salutano la bandiera a capo chino e
con il pugno, guantato di nero, alzato, l’uno distendendo il braccio destro,
l’altro il sinistro[21].
In linea di massima, nei decenni successivi questa simbologia generale finirà
per prevalere su quella strettamente politica, sganciando il pugno chiuso dalla
ristretta cerchia delle immagini di partito. [...]
[1] Immagini
nemiche. La guerra civile spagnola e le sue rappresentazioni, 1936-1939, Editrice compositori, Bologna 1999, pp. 422-423
[2] Secondo
alcuni, il pugno chiuso deriverebbe da «un antico saluto dei gladiatori» che
sarebbe stato ripreso alla fine del 1918 dagli spartachisti tedeschi. In questo
gesto di saluto «le dita rappresentano le divisioni sempre presenti nel
movimento operaio, che, una volta superate con la lotta, diventano un potente
strumento come il pugno»: cfr. D. Spagnoli, Per una storia dei simboli
comunisti, in “Il calendario del popolo”,
n. 705, febbraio 2006, p. 29. Attualmente anche nell’estrema destra è diffuso
un gesto di saluto che si vorrebbe ispirato ai gladiatori e che consiste
nell’accostamento dell’avambraccio del salutante e del salutato e nella stretta
reciproca al di sopra del polso
[3] Lo schizzo
potrebbe risalire ai primi giorni di giugno, nel periodo immediatamente
successivo al suo arresto: il carnet di disegni è conservato al Dipartimento di
arti grafiche del Louvre: una riproduzione è consultabile on line nel catalogo joconde (www.culture.gouv.fr/documentation/joconde/fr/pres.htm)
al numero d’inventario RF 29235,8
[4] Si veda la
discussione sulla fortuna del quadro e sul suo ruolo nel propagandare una certa
immagine della Comune in B. Tillier, La Commune de Paris. Révolution sans
image? Politique et représentations dans la France républicaine (1871-1914), Champ Vallon 2004, in particolare pp. 15-16
[5] Cfr. Idem, pp. 457 ss,
[6] Il disegno è
riprodotto in Dans la Vie (Paris, 1901),
un libro di vignette di Steinlen tratte da Gil Blas Illustré, Chambard
e Mirliton. Si veda in proposito,
anche per la trasformazione delle feste, G. P. Weisberg, Montmartre
and the making of mass culture, Rutger
University Press 2001
[7] Anche per
sostenere l’affermazione del saluto a mano tesa se ne esalterà la “naturalità”.
Si legga ancora quanto scriveva Rudolf Hess: «di per sé il braccio sollevato
con la mano distesa è il saluto più naturale. Basta osservare i bambini e gli
adulti che salutano in fretta qualcuno che passa: la tipica reazione è il
movimento sopra descritto», cfr. T. Allert, Heil Hitler…, cit. p. 58
[8] Si veda il
veloce ma informato articolo di M. Danesi, Storia del pugno chiuso, saluto
di lotta, in “Il calendario del popolo”, n.
727, febbraio 2008, pp. 52-53
[9] Il testo
della Gazzetta è in A. Castells, Las Brigadas Internacionales de la guerra
de España, Ariel, Barcelona, 1974, p. 91,
citato a sua volta in G. Ranzato, L’eclissi della democrazia. La
guerra civile spagnola e le sue origini 1931-1939, Bollati Boringhieri, Torino 2004, p. 365, nota 57
[10] G. Ranzato,
L’eclissi della democrazia…, cit., p.
256
[11] Com’è noto,
il disegno era accompagnato da un commento dello stesso Mirò: «Nella lotta
attuale, io vedo dalla parte fascista le forze scadute della storia, dall’altra
il popolo le cui immense risorse creative daranno alla Spagna un impeto che
scuoterà il mondo»
[12] M. De
Micheli, L’arte sotto le dittature,
Feltrinelli, Milano 2000, p. 180
H. Ferrer, Madrid 1937 (1937) |
[13] Si noti
come lo stesso gesto mantenga ancora un doppio livello di lettura: si veda ad
esempio l’opera di Horacio Ferrer, Madrid 1937 (Black Aeroplanes) (1937) in cui il pugno della donna che guarda verso
il cielo è senz’altro un gesto di rabbia impotente, ma quello del bambino in
primo piano potrebbe essere un
simbolo di resistenza, come lascerebbe intendere il fatto di essere sulla
diagonale del gesto della donna e di essere, dunque, ad esso collegato.
[14] Tutte le
citazioni sono tratte dall’appunto dell’8 settembre 1944, conservato presso
l’Istituto Storico della Resistenza di Novara, sez. 3, b. 1, f. I.1, e citato
anche in A. Mignemi (a cura di), Storia fotografica della Resistenza, Bollati Boringhieri, Torino 1995, p. 36
[15] Per una
veloce analisi della questione si rimanda a A. Ballone, La dimensione
esistenziale nella banda partigiana, in
“Rivista di Storia Contemporanea”, n. 4, a. XIX, ottobre 1990; per uno sguardo
sintetico ma profondo sulla vicenda della resistenza si veda S. Peli, La
Resistenza in Italia. Storia e critica,
Einaudi, Torino, 2004
[16] Fino alla
metà degli anni sessanta il saluto a pugno chiuso si fa col braccio destro
piegato, mantenendo un richiamo alla sua origine militare. Esso tuttavia deve
diventare sempre meno consapevole perché in occasione del funerale di Togliatti
il braccio si distende «conferendo sacralità marziale al gesto»; anche nei
cortei, inoltre, gli slogan sono sempre più spesso accompagnati dal pugno
chiuso agitato ritmicamente: cfr. M. Danesi, Storia del pugno chiuso…, cit.
[17] Per una
efficace esemplificazione si possono vedere le tessere del Pci: quella del
1945, disegnata da Renato Guttuso, reca in primo piano due pugni chiusi che
sostengono una falce e un martello sullo sfondo di una bandiera rossa
dispiegata; quelle del 1946, del 1948 e del 1950 mostrano mani che impugnano o
la bandiera o la falce e il martello; l’ultima ad essere caratterizzata in
questo modo sarà quella del 1959 che mostra tre mani, ciascuna delle quali
sorregge uno dei tre oggetti simbolici. Cfr. E. Novelli, C’era una volta il
Pci, Editori Riuniti, Roma 2000. Si veda
anche, per uno sguardo veloce e generale sull’immagine del partito, A. Agosti, I
militanti. L’album fotografico dei comunisti italiani, in G. De Luna, G. D’Autilia, L. Crescenti (a cura
di), L’Italia del Novecento. Le fotografie e la storia, Vol. I, t. 2, Il potere da De Gasperi a
Berlusconi (1945-2000), Einaudi, Torino 2005. È interessante notare come
nella selezione di fotografie che accompagna il testo, tutte provenienti
dall’archivio de “L’Unità”, le immagini dei militanti che salutano con il pugno
chiuso siano quasi tutte degli anni Settanta
[18] G. De Luna,
La politica sui muri, i manifesti del ’68,
in L’arte per la strada. I manifesti del maggio francese, Giulio Bolaffi editore, Torino 2008, p. 52. Naturalmente i manifesti
italiani echeggiano la tradizione iconografica nazionale; come ha raccontato
recentemente Piero Gilardi, l’anima di uno dei due atelier populaire torinesi, non ci si ispirava solo alla grafica
parigina: «nella nostra testa, nella nostra mappa mentale, avevamo una serie di
stili (…) [e] guardammo molto anche alla grafica popolare del movimento
operaio, del movimento socialista, del movimento comunista italiano anteguerra,
perché ce l’avevamo lì, a portata di mano, come memoria». Cfr. C’è
bisogno di un manifesto. Piero Gilardi racconta, in Idem, p. 124
[19] Si vedano i
due manifesti Natale: prega borghese e Il
padrone morde: colpiamolo subito
[20] Sul tema si
può vedere M. Isnenghi, L’Italia in piazza. I luoghi della vita pubblica dal
1848 ai giorni nostri, Mondadori, Milano,
1984
[21] Secondo la
concisa ricostruzione di Danesi, Storia del pugno chiuso…, cit., anche l’uso del braccio sinistro al posto di
quello destro nasce con l’appropriazione del saluto da parte degli studenti
[...continua in I gesti del potere] |
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