Il corso di quest'anno è dedicato ai linguaggi della comunicazione audiovisiva (lo divido a metà con Gabriele D'Autilia) e ho riservato qualche lezione alla radio, al modo in cui il linguaggio radiofonico è nato e si è sviluppato, in stretta correlazione con la storia tecnologica e sociale della radio.
Ve ne parlo perché, anche se questo blog è sempre meno un'estensione delle mie lezioni, gli studenti mi hanno chiesto di fargli avere le slides che ho utilizzato e ho deciso di metterle qui.
Però proverò a fare un esperimento.
Non caricherò semplicemente il power point ma mostrerò le singole slides introducendole brevemente con una sintesi di ciò che mi erano servite ad illustrare: in pratica un riassunto della lezione, in modo che servano anche a chi ha preso degli appunti distratti, o a chi non c'era.
Inoltre, visto che qui ne ho la possibilità, introdurrò una serie di link, utili a chi volesse approfondire alcuni aspetti, o fosse semplicemente curioso.
Per non annoiare tutti i miei lettori, proseguo dopo il salto: la visione, potremmo dire, è riservata ai soli studenti...
In questa lezione la radio ci interessa non tanto come medium ma come linguaggio. Il quale, però, è frutto di un processo storico e dell'incontro fra trasformazioni tecnologiche e usi sociali del medium. Per questo, dal mio punto di vista, è utile parlare di "linguaggi", mostrandone la geneaologia storica e sociale.
Il punto di partenza è, ovviamente, la nascita della radio nel 1895. Che però non nasce già nella forma che le è stata data a partire dagli anni Venti e per circa un secolo, ma nasce radiotelegrafia. Il suo inventore - è quasi superfluo dirlo - è Guglielmo Marconi. Egli però ritiene che la sua invenzione abbia due limiti: la distanza e l'esclusività dell'ascolto. (qui, potete sentire la puntata su Marconi che ho realizzato per wikiradio)
La conquista del suono e della parola avviene all'inizio del '900, e ha molti padri. Reginald Fessenden è colui che realizza il primo "evento" radiofonico, la cui descrizione ci mostra già il "palinsesto" di future trasmissioni e la necessità di avere un feedback dal pubblico (altra caratteristica fondante della radio).
C'è almeno un altro "padre" della radio da ricordare sul piano del linguaggio, Lee De Forest, il quale usa per la prima volta il termine broadcasting e dedica alcuni anni della sua vita a promuoverlo. Scrive ad esempio sul proprio diario: «il mio compito attuale (particolarmente piacevole) è di diffondere dolci melodie “a spaglio” in tutte le città e i mari, in modo che i marinai lontani possano ascoltare, attraverso le onde la musica di casa loro»
Tra il 1910 e il 1916 è protagonista di molti esperimenti, in cui prova diversi generi di trasmissione: usa la Tour Eiffel come antenna per fare esperimenti di radiofonia in Francia; trasmette un concerto di Caruso da New York, una partita di football e delle elezioni.
Ma la vera prefigurazione di ciò che sarà la radio avverrà con il memorandum di David Sarnoff intitolato Subject: Radio Music Box.
Ciò che mi sembra importante sottolineare, dal nostro punto di vista, è soprattutto la trasformazione della radio in uno strumento domestico, usata essenzialmente per fare musica, ovvero per il loisir.
In Europa la radio assume la sua forma ufficiale tra il 1922, quando in Inghilterra viene fondata la BBC, e il 1924, quando in Italia nasce l'URI. (qui puoi ascoltare l'inizio delle trasmissioni). Sempre all'inizio degli anni '20 negli Stati Uniti le grandi compagnie come la Westinghouse o la General Electric avevano creato delle compagnie radiofoniche, come la KDKA di Pittsburgh, che nasce il 2 novembre 1920 ed è considerata la prima radio commerciale.
Quali sono le caratteristiche costitutive della radiofonia, che, per usare l'espressione di Rudolph Arnheim, "organizza il mondo per l'orecchio"? Intanto, sempre per usare le parole di Arnheim, si può dire che essa «favorisce nel modo più spregiudicato tutto ciò che ha a che vedere con la diffusione e la comunanza, mentre si oppone alla segregazione e all’isolamento».
E poi la radio è vicina: per le voci note, che fanno da tramite tra l'emittente e il pubblico; perché si adatta al tempo dell'ascolto; perché parla la stessa lingua, e perfino lo stesso dialetto; perché "risponde".
E' sonora: non solo perché "organizza il mondo per l'orecchio" ma perché introduce nella vita quotidiana la musica, non come momento di isolamento e svago, ma come colonna sonora.
E' leggera: sia in senso fisico che dal punto di vista del linguaggio, tanto da essere pervasiva.
E' fluida: ovvero è un medium di flusso, secondo la tipica definizione di Raymond Williams.
E' mobile.
E, infine, è invisibile, perché pervade le nostre esistenze senza che - la maggior parte delle volte - ce ne accorgiamo.
In Italia la radio nasce sotto il regime fascista, ma non sarebbe corretto pensarla esclusivamente dedita alla propaganda. Anzi, inizialmente il fascismo non ne coglie le eccezionali potenzialità comunicative e, appunto, propagandistiche.
Per usare una formula coniata da Franco Monteleone, nell’Italia fascista la radio è inizialmente una scatola sonora, anche abbastanza misteriosa per il suo pubblico, e diventa solo in un secondo momento, durante gli anni Trenta, il megafono del regime.
Il problema principale è quello della diffusione: nel 1926, due anni dopo l’inizio delle trasmissioni regolari, gli abbonati in Italia sono appena 26.000 mentre in Inghilterra sono quasi 2.000.000. Una delle ragioni della scarsa presenza di apparecchi radio è il loro costo eccessivo.
Qui sotto, se volete, c'è una sintesi della storia dei media durante il fascismo, con ampi passaggi dedicati alla radio.
E ora torniamo a noi
Si sviluppano allora forme differenziate di ascolto, fra cui è importante ricordare quello collettivo spontaneo, spesso sostenuto da una vera e propria opera di "apostolato" dei possessori di apparecchi radio, ben contenti di fare delle vere e proprie "radioaudizioni".
Il più importante tentativo del regime fascista di diffondere la radiofonia avverrà con l'Ente Radio Rurale.
La programmazione è ampiamente occupata dalla musica che, negli anni Trenta, ne costituisce quasi il 56% mentre le rubriche propagandistiche occupano circa il 10% dello spazio (anche se sono collocate nelle ore di punta).
Un posto importante hanno anche le trasmissioni di varietà e il radio-teatro. In particolare è fra le prime che si registrano delle grandi novità, come la combinazione fra linguaggio parlato e linguaggio musicale che si avvaleva di citazioni della letteratura popolare, contaminazioni con l’attualità, canzoni adattate a motivi molto popolari: ne nascono trasmissioni come I quattro moschettieri che è un vero e proprio fenomeno di massa della radio italiana (con due edizioni nel 1934 e nel 1936): in particolare alla seconda edizione è abbinata una raccolta di figurine che la renderà ancora più popolare.
Altrettanto rilevanti sono le trasmissioni sportive che contribuiranno a trasformare lo sport in un fenomeno di massa e a rinforzare una delle caratteristiche linguistiche della radio di questo periodo: la diretta.
Ovviamente, per non smentire la propria vocazione pedagogica, ci sono trasmissioni di cultura (conferenze, letture) o programmi per i bambini che uniscono racconti fiabeschi, musica, istruzione.
Notiziari e trasmissioni di propaganda sono ovviamente molto importanti, e il loro ruolo diventerà sempre più incisivo con l'avvicinarsi alla guerra. In particolare vanno ricordate le Cronache del Regime di Roberto Forges Davanzati (15 minuti di commento al giorno dal 27 ottobre 1934 al 15 maggio 1936) nelle quali, per usare le parole del pionieristico studio di Alberto Monticone (Il fascismo al microfono, 1978) c'era un «evidente sforzo di presentare eroicamente il quotidiano, di fare di ogni banale aspetto della vita economica, sociale, agricola una tappa dell’ascesa irresistibile dell’Italia fascista» (p.124), reso efficace da un tono simile a quello «dell’insegnante che richiama una scolaresca poco attenta a scorgere l’ovvia ed evidente lezione che proviene da ogni atto del regime» (p.125). Dopo la morte di Davanzati nel 1936 il programma perde di compattezza stilistica e quindi di capacità persuasiva, e viene quindi chiuso. Il ministro Alfieri aveva intuito chiaramente quale fosse il problema: «la pluralità degli oratori, ciascuno dei quali inseriva saltuariamente nel tessuto delle cronache la conversazione sua propria con criteri che era difficile rendere omogenei, aveva determinato nelle Cronache stesse una ormai troppo visibile caratteristica di improvvisazione individuale e di intima sconnessione» che avevano portato al suo «decadimento». Sarà poi ripresa dal settembre 1938 e continuata fino all’aprile 1943 con un altro nome, Commento ai fatti del giorno che, sin dal titolo, rimanda all’idea di una specie di editoriale: la diversità degli stili e il tono esasperato di alcuni commenti (tipici quelli di Mario Appelius) la renderanno sempre meno popolare e, addirittura, controproducente.
L'episodio della trasmissione radiofonica "La guerra dei mondi", realizzata da Orson Welles come adattamento di un testo di H. G. Wells, e trasmessa il 30 ottobre 1938, è, allo stesso tempo, un esempio di uso pienamente consapevole del linguaggio radiofonico e una metafora del ruolo centrale che la radio avrà di lì a poco, durante la seconda guerra mondiale.
Se volete, qui di seguito potete ascoltare il programma di Welles
La radio durante la seconda guerra mondiale ha svolto un ruolo estremamente rilevante, non solo per la propaganda, ma anche perché ha creato un panorama sonoro sostanzialmente uniforme, sia pure con le differenze dovute alle emittenti e alle ideologie dei contendenti. Se qualcuno fosse interessato a questo aspetto, dovrebbe andare a cercarsi un documentario che Giovanni De Luna ha realizzato nel 1989 per la radio Rai, Voci di Guerra in cui aveva individuato il verificarsi di due processi contemporanei e apparentemente antitetici: da un lato, infatti, la radio «enfatizza gli schieramenti e le contrapposizioni politiche e ideologiche, e militari ovviamente, dei (…) belligeranti; dall’altro lato però (…) li annulla, li omologa, li appiattisce nella concretezza dei comportamenti collettivi» che si manifestano in modelli espressivi e linguistici simili.
Una marcata evoluzione di linguaggio della radio arriva con il transistor e la miniaturizzazione dell'apparecchio. Negli stessi anni, inoltre, la nascita del registratore a nastro magnetico portatile cambia profondamente il modo di concepire la produzione radiofonica.
Negli anni Sessanta, mentre il mondo giovanile emerge come il nuovo soggetto sociale (e commerciale), inizia l'avventura delle "radio pirata" che produce un nuovo modo di fare radio. Il nome simbolo è Radio Caroline (per saperne di più andate qui e qui).
Nello stesso torno di tempo, in Italia c'è un rinnovamento del linguaggio radiofonico con alcuni programmi come Chiamate Roma 3131, che introduce il telefono, Bandiera Gialla e Per voi giovani, che cambiano il rapporto con la musica, e Alto Gradimento, che rivoluziona il modo di fare radio (come potete sentire in questo breve estratto)
E, come mostra questa slide riassuntiva, negli anni '70 il panorama radiofonico - e più in generale radiotelevisivo - muta completamente. Alle evoluzioni tecnologiche e di linguaggio, stavolta si uniscono quelle istituzionali perché alcune sentenze della corte costituzionale, fra il 1974 e il 1976, demoliscono l'edificio del monopolio. Nascerà allora l'età dei "cento fiori" della radiofonia (e - ma non era oggetto delle lezioni qui riassunte - della televisione libera).
Per approfondire potete dare un'occhiata a questo recente documentario di Rai Storia
Tra le radio libere degli anni '70, Radio Alice è, se non la più innnovativa, la più famosa, perché la sua storia si fonde con quella del movimento del '77 nei giorni drammatici degli scontri di Bologna del marzo di quell'anno.
Se volete saperne di più e vedere alcuni materiali, potete seguire il link.
E guardarvi questo breve video, che illustra il percorso che ha portato Guido Chiesa a realizzare un film su Radio Alice (Lavorare con lentezza, 2004) a partire da un documentario (Alice è in paradiso, 2002)
Ma potete anche dare un'occhiata ad un documento del 1977, un'inchiesta di Francesco Barilli e Francesco Bortolini realizzata per Videosera e intitolato Alice nel paese delle radio libere
Negli anni '80, il panorama italiano si modifica profondamente: l'avventurosa storia delle radio libere lentamente si avvia alla conclusione per far posto alla più organizzata vita delle radio commerciali. Anche il linguaggio si modifica e le innovazioni disordinate e rivoluzionarie degli anni '70 si sposano con i modelli che arrivano dagli Stati Uniti.
L'arrivo di internet, poi, cambia tutto ancora una volta. Quali delle caratteristiche originarie della radiofonia (prossimità, sonorità, leggerezza, fluidità, mobilità, invisibilità) vivono ancora nella "radio" on line? Che cosa sta diventando la radio, a patto che si possa ancora parlare di radio?
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