Lo scorso anno lo hanno presentato a Fahrenheit e se volete potete ascoltarvi qui il podcast.
Come dicevo, è senza dubbio un bel libro, veramente capace di portarci nel cuore di quello scontro fra il fascismo e l'industria culturale di cui illustra un aspetto particolare.
Per farla breve, è la storia della diffusione in Italia del fumetto, il racconto di come la comics craze investì gli anni centrali del fascismo: ma non c'è solo il Topolino che viene citato nel titolo, anzi. In effetti, all'origine di tutto ci fu L'Avventuroso, edito da Nerbini a partire dal 1934, la rivista che cambiò il modo di concepire il fumetto in Italia importando quegli eroi americani, Flash Gordon su tutti, che segnarono una generazione (volete saperne di più? andate qui).
La prima pagina de L'Avventuroso, uscita nelle edicole il 14 ottobre 1934 |
abolizione completa di tutto il materiale d'importazione straniera, facendo eccezione per le creazioni di Walt Disney, che si distaccano dalle altre per il loro valore artistico e per sostanziale moralità, e soppressione di quelle storie e illustrazioni che si ispirano alla produzione straniera. (la citazione è da p. 187)Siamo qui nel cuore dello scontro fra il fascismo ed i fumetti, un conflitto che viene generato da diversi fattori: innanzitutto il diffuso giudizio negativo sul fumetto da parte di pedagogisti e intellettuali di regime (ma magari ne riparliamo in un'altra occasione). E poi l'origine statunitense della maggior parte delle storie pubblicate in quegli anni: pur essendo storie di pura avventura, esse infatti finivano per mostrare una fitta trama di valori e quadri mentali in profondo contrasto con i principi sui quali il fascismo pensava di edificare il proprio "uomo nuovo". E' evidente come nel momento in cui la diffusione dei fumetti raggiunge quote notevoli (1.600.000 copie di settimanali diffusi, secondo alcuni), in corrispondenza con la nuova fase del regime legata alle guerre e al rapporto sempre più stretto con la Germania, una simile contrapposizione di modelli non sia più accettabile.
Per raccontare questa vicenda gli autori tengono insieme diversi fili: dalla storia degli editori alla vicenda delle singole testate e, in parte, dei personaggi, degli scrittori e dei disegnatori, per ricondurre il tutto all'interno del più ampio profilo delle politiche culturali del fascismo.
Di molte di queste vicende - come ad esempio dell'arrivo di Topolino in Italia - si è spesso parlato più per sentito dire che in base ad una seria ricerca. Naturalmente ci sono state delle importanti eccezioni (e la ricca bibliografia ce lo ricorda in modo efficace), ma questa tendenza non ha faticato ad affermarsi, dimostrando così il modo in cui i fumetti vengono considerati anche fra chi si occupa di industria culturale.
Questo libro, dunque, ha il primo merito di mostrare con efficacia come si possa fare storia del fumetto, non limitandosi a fare una storia dei personaggi o delle testate, ma cercando di connettere questa storia specialistica e di nicchia con i più grandi processi che hanno interessato un periodo cruciale della nostra vicenda nazionale.
Il secondo merito è quello di utilizzare un archvio in gran parte inedito: la corrispondenza di Guglielmo Emanuel, allora agente del King Feature Syndacate, con i principali editori dei settimanali per ragazzi, Nerbini, Mondadori e Vecchi. Si apre in questo modo un significativo squarcio su un periodo della vita di questo intellettuale che era rimasto a lungo in ombra (non se ne parla, ad esempio, in questa voce del "dizionario biografico degli italiani"), e che contribuisce a delinearne meglio la figura.
Il terzo è quello di ridefinire la vicenda della nascita di una scuola italiana del fumetto, rinunciando - talvolta, sembra, a malincuore - all'acribia filologica del collezionista, per gettare uno sguardo più ampio su un settore dell'industria culturale che proprio in quegli anni forma un immaginario, visuale e di valori, che rimarrà a lungo radicato fra gli italiani.
Qui mi fermo con i meriti, anche se potrei continuare, per sottolineare invece un paio di cose che mi hanno lasciato perplesso: innanzitutto la scelta editoriale di accompagnare il testo con le riproduzioni dei documenti. Attenzione: non sto parlando dell'appendice documentaria o delle numerose illustrazioni, che invece sono molto utili per approfondire alcuni aspetti sottolineati nel testo come le "censure" sugli abiti o le ambientazioni, o le modifiche apportate ai testi per "italianizzare" le storie. Mi è venuto il dubbio che in questa scelta ci sia un lieve - come chiamarlo? - complesso d'inferiorità: come se si volesse dimostrare la "scientificità" dello studio. Invece si finisce per appesantire l'apparato grafico con materiali che non sono - per la loro stessa natura - ben leggibili (troppo piccoli, spesso) e che, comunque, vengono riportati nel testo principale con lunghe citazioni.
In secondo luogo, ogni tanto ho trovato la lettura un po' "faticosa", con troppo frequenti rimandi a ciò che doveva essere ancora detto: anticipazioni che, invece di chiarire, complicano solo il quadro.
Ma sono dettagli, in realtà, giusto per fare le pulci ad un lavoro che, come scrive Mimmo Franzinelli nell'introduzione, fa fare "un rilevante salto qualitativo" alla storia del fumetto e della cultura popolare in Italia.
"Eccetto Topolino", un libro che piace anche ai gatti |