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Odoardo Borrani, 26 aprile 1859 |
Lo ha scritto Gustavo Zagrebelsky. Io lo condivido, insieme a molta altra gente.
L’anno anniversario dei 150 anni dell’Unità d’Italia rischia di concludersi così. Così, come? Con una frattura profonda.
Sempre più e rapidamente, una parte crescente del popolo italiano si
allontana da coloro che, in questo momento, sono chiamati a
rappresentarlo e governarlo.
I segni del distacco sono inequivocabili, per ora e per fortuna tutti
entro i limiti della legalità: elezioni amministrative che premiano
candidati subìti dai giri consolidati della politica; referendum vinti,
stravinti e da vincere nell’ostilità, nell’indifferenza o nell’ambiguità
dei maggiori partiti; movimenti, associazioni, mobilitazioni spontanee
espressione di passioni politiche e di esigenze di rinnovamento che
chiedono rappresentanza contro l’immobilismo della politica.
Il dilemma è se alla frattura debbano subentrare la frustrazione,
l’indifferenza, lo sterile dileggio, o l’insofferenza e la reazione
violenta, com’è facile che avvenga in assenza di sbocchi; oppure, com’è
più difficile ma necessario, se il bisogno di partecipazione e
rappresentanza politica riesca a farsi largo nelle strutture
sclerotizzate della politica del nostro Paese, bloccato da poteri
autoreferenziali la cui ragion d’essere è il potere per il potere,
spesso conquistato, mantenuto e accresciuto al limite o oltre il limite
della legalità.
Si dice: il Governo ha pur tuttavia la fiducia del Parlamento e
questo, intanto, basta ad assicurare la legalità democratica. Ma oggi
avvertiamo che c’è una fiducia più profonda che deve essere
ripristinata, la fiducia dei cittadini in un Parlamento in cui possano
riconoscersi. Un Parlamento che, di fronte a fatti sotto ogni punto di
vista ingiustificabili, alla manifesta incapacità di condurre il Paese
in spirito di concordia fuori della presente crisi economica e sociale,
al discredito dell’Italia presso le altre nazioni, non revoca la
fiducia a questo governo, mentre il Paese è in subbuglio e in sofferenza
nelle sue parti più deboli, non è forse esso stesso la prova che il
rapporto di rappresentanza si è spezzato? Chi ci governa e chi lo
sostiene, così sostenendo anche se stesso, vive ormai in un mondo
lontano, anzi in un mondo alla rovescia rispetto a quello che dovrebbe
rappresentare.
Noi proviamo scandalo per ciò che traspare dalle stanze del governo.
Ma non è questo, forse, il peggio. Ci pare anche più gravemente
offensivo del comune sentimento del pudore politico un Parlamento che,
in maggioranza, continua a sostenerlo, al di là d’ogni dignità personale
dei suoi membri che, per “non mollare” – come dicono –, sono disposti
ad accecarsi di fronte alla lampante verità dei fatti e, con il voto, a
trasformare il vero in falso e il falso in vero, e così non esitano a
compromettere nel discredito, oltre a se stessi, anche le istituzioni
parlamentari e, con esse, la stessa democrazia.
Sono, queste, parole che non avremmo voluto né pensare né dire. Ma
non dobbiamo tacerle, consapevoli della gravità di ciò che diciamo. Il
nodo da sciogliere per ricomporre la frattura tra il Paese e le sue
istituzioni politiche non riguarda solo il Governo e il Presidente del
Consiglio, ma anche il Parlamento, che deve essere ciò per cui esiste,
il luogo prezioso e insostituibile della rappresentanza.
Dov’è la prudenza? In chi assiste passivamente, aspettando chissà quale deus ex machina
e assistendo al degrado come se fossimo nella normalità democratica,
oppure in chi, a tutti i livelli, nell’esercizio delle proprie funzioni e
nell’adempimento delle proprie responsabilità, dentro e fuori le
istituzioni, dentro e fuori i partiti, opera nell’unico modo che la
democrazia prevede per sciogliere il nodo che la stringe: ridare al più
presto la parola ai cittadini, affinché si esprimano in una leale
competizione politica. Non per realizzare rivincite, ma per guardare più
lontano, cioè a un Parlamento della Nazione, capace di discutere e
dividersi ma anche di concordare e unirsi al di sopra d’interessi di
persone, fazioni, giri di potere. Dunque, prima di tutto, ci si dia un
onesto sistema elettorale, diverso da quello attuale, fatto apposta per
ingannare gli elettori, facendoli credere sovrani, mentre sono sudditi.
Le celebrazioni dei 150 anni di unità hanno visto una straordinaria
partecipazione popolare, che certamente ha assunto il significato
dell’orgogliosa rivendicazione d’appartenenza a una società che vuole
preservare la sua unità e la sua democrazia, secondo la Costituzione.
Interrogandoci sui due cardini della vita costituzionale, la libertà e
l’uguaglianza, nella nostra scuola di Poppi in Casentino, nel luogo
dantesco da cui si è levata 700 anni fa la maledizione contro le corti e
i cortigiani che tenevano l’Italia in scacco, nel servaggio, nella
viltà e nell’opportunismo, Libertà e Giustizia è stata condotta
dalla pesantezza delle cose che avvolgono e paralizzano oggi il nostro
Paese a proporsi per il prossimo avvenire una nuova mobilitazione delle
proprie forze insieme a quelle di tutti coloro – singole persone,
associazioni, movimenti, sindacati, esponenti di partiti – che avvertono
la necessità di ri-nobilitare la politica e ristabilire la fiducia dei
cittadini nelle istituzioni e in coloro che le impersonano. Che vogliono
cambiare pagina per ricucire il nostro Paese.
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