Ieri, oggi; e domani?

J. Edgar Hoover, l'onnipotente capo dell'FBI, [era] convinto che [Martin Luther] King fosse un pericoloso sovversivo, probabilmente un comunista, e che fosse necessario eliminarlo dalla scena politica.
L'8 gennaio 1963, il responsabile della sorveglianza di King, scrisse un lungo memorandum a Hoover: il pastore, colto in flagranza di adulterio, "deve, al momento propizio, essere mostrato al popolo di questo paese e ai suoi seguaci negri per ciò che è realmente: un imbroglione, un demagogo e, dal punto di vista morale, un mascalzone". L'FBI continuò a sorvegliare strettamente King, utilizzando decine di agenti, e ad accumulare prove delle sue infedeltà matrimoniali (il leader nero aveva un debole per le donne). Nell'agosto del 1964, Hoover giudicò il momento propizio per gettare il peccatore in pasto all'opinione pubblica: c'erano nastri registrati, dove si potevano sentire le voci del leader, alticcio, in compagnia di una mezza dozzina di collaboratori e di almeno due donne, nessuna delle quali era sua moglie. I microfoni nascosti nella camera del Willard Hotel nel gennaio 1963 avevano colto ogni rumore: le battute salaci, i preliminari, l'amplesso.
Il dossier era fitto di dati, orari, dettagli banali (che cosa aveva mangiato King quella sera) o scabrosi (quanto aveva pagato le prostitute incontrate a Los Angeles, Sacramento, Las Vegas). Le trascrizioni dei rumori raccolti al microfono non trascuravano nulla: le scarpe allontanate con un calcio, i vestiti che scivolano a terra, le molle del letto che cigolano. I nastri comprendevano ore e ore di attività sessuale: l'FBI aveva, tra l'altro, reclutato prostitute con lo scopo preciso di "incastrare" il leader nero. L'FBI offrì il materiale a "Newsweek", che rifiutò. Hoover tentò personalmente con il "Los Angeles Times" e il "New York Times", senza maggiore successo.
I giornalisti venivano invitati nel palazzo dell'FBI, fatti entrare da un ingresso secondario, potevano ascoltare tutto ciò che volevano, avere copie del dossier. Si trattava di un leader religioso, un pastore che citava la Bibbia in ogni occasione: non solo tradiva la moglie ma lo faceva abitualmente, con ogni genere di donne. Il suo carisma, il suo "carattere", la legittimità della sua azione politica potevano essere facilmente distrutti da una serie di articoli. Non ne uscì neppure uno.
Perché nel 1964 quotidiani e periodici non osarono toccare una storia proveniente dalle autorità, facilmente verificabile come autentica, giornalisticamente e politicamente esplosiva? L'unica spiegazione possibile è che il giornalismo di allora considerava la politica come una cosa seria, un campo i cui temi (un conflitto nucleare o un'esplosione di violenza razziale che finisse in una guerra civile) apparivano così importanti a chiunque da relegare le storie di adulterio al di fuori del perimetro delle notizie pubblicabili.
È vero che, all'epoca, la deferenza verso i politici rendeva off limits anche le avventure piccanti di John Kennedy, di cui buona parte dei corrispondenti dalla Casa Bianca erano a conoscenza, ma resta il fatto che la scelta di non prestarsi alle manovre di Hoover fu una dimostrazione di autonomia e di professionalità del giornalismo americano oggi semplicemente impossibile.
(da Fabrizio Tonello, Il giornalismo americano, Carocci, Roma 2005, pp. 52-55)
Questo era ieri.

Per quanto riguarda l'oggi il pensiero non può che correre alle assonanze con i casi political-sessuali che hanno riempito le cronache degli ultimi mesi (in particolare le assonanze mi sembra che ci siano con il "caso Marrazzo" e, in qualche modo, con il "caso Boffo"). In mezzo, naturalmente, tante cose sono cambiate: il modo di fare giornalismo e, più in generale, informazione, i criteri di notiziabilità degli eventi, il modo di fare politica. È arrivato l'infotainment, e la sua specifica variante del politainment.

E domani?
Domani sarà il tempo del trionfo della politica pop.

Ne riparliamo tra qualche giorno.

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Andrea Sangiovanni © Creative Commons 2010 | Plantilla Quo creada por Ciudad Blogger